Nessun compromesso al ribasso

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di Maria Rusolo

“Una volta accettata la consapevolezza che anche fra gli esseri più vicini continuano a esistere distanze infinite, si può evolvere una meravigliosa vita, fianco a fianco, se quegli esseri riescono ad amare questa distanza fra loro, che rende possibile a ciascuno dei due di vedere l’altro, nella sua interezza, stagliato contro il cielo.”

Stamattina complice l’arrivo improvviso dell’autunno mi sono ricordata di quanto difficile sia sentirsi in qualche maniera adeguata, al ruolo, alla professione, al posto che ci siamo scelti nel mondo o che qualcuno ha scelto per noi. Banalmente ci si guarda allo specchio ed anche nello scegliere che cosa indosseremo, siamo in qualche modo condizionati dalla nostra esistenza passata, dagli input familiari e da quelli sociali e di contesto.

Pensateci con attenzione fin da ragazzina non vi capitava di provare e riprovare abiti, per non sembrare fuori posto, troppo grassa, troppo scollata, troppo appariscente o poco significante, per non attirare gli sguardi degli altri o per attirarne troppo pochi. Quando andavate a scuola, non cercavate di uniformarvi alle mode, alla tendenza collettiva per non essere isolata in qualche modo, non sentirvi emarginata o ancora all’università agli esami, o al vostro primo colloquio di lavoro, al primo giorno di lavoro, o al primo appuntamento con qualcuno che vi piaceva davvero.

Mi ricordo che negli anni del liceo, mia madre veniva richiamata dal prof di inglese, durante i colloqui, non per il mio rendimento, quanto perché indossavo la minigonna a lezione. Ricordo che mia madre, femminista convinta, sorrideva al prof sottolineando come chi avesse studiato la cultura inglese dovesse sapere, che Mary Quant la minigonna l’aveva sdoganata molto prima degli anni Novanta. Intanto io quel rimbrotto lo vivevo come una vera mortificazione e chiedevo alla mia madre anticonformista, che cosa ci fosse di male in una quindicenne che preferiva la mini al jeans, lei allora si faceva seria, mi guardava e mi spiegava che una donna libera anche nel modo di presentarsi, è un fastidio rispetto all’ordine costituito e che dovevo imparare presto a non farmi giudicare per come apparivo, ma per quello che avevo da dire.

Credo di aver impiegato anni a capire il senso di quella affermazione, complice un padre che seppure comunista, invece mi diceva che per essere valutata per la mia cultura non dovevo dare nell’occhio, dovevo attirare meno possibile lo sguardo penetrante dei maschi e reprimere la mia femminilità, soprattutto se avessi voluto fare carriera ed impegnarmi in politica. Ho vissuto una fase terribile, capelli corti, reggiseni sportivi, camicie abbottonate e colori scuri, dovevo essere, dovevano ascoltarmi e non fissarmi, anche nei Tribunali, nei quali gli avvocati del mio sesso, sono signorine o dottoresse, occorreva conquistarsi il prestigio al cospetto dei colleghi e dei magistrati.

Mi sono portata addosso questa cappa asfissiante, una nuvola di Fantozzi che ti fa sentire sempre una costruzione adatta al museo delle cere, piuttosto che una donna libera di essere quello che si sente senza condizionamenti. Pensateci bene, ci si difende anche nell’apparenza, perché nessuno dica ” se l’è cercata”, nessuno pensi che quel posto da dirigente o da deputata sia il frutto di qualche compromesso al ribasso, perché questa società continua ad essere misogina e sessista, continua a dirci che non siamo all’altezza, che mentiamo, che le nostre competenze sono meno importanti e che comunque vada vanno barattate come merce con il potente di turno.

Sono stata in contesti tutti al maschile e mi sono sentita in difficoltà, io che non ho paura delle mie idee e che cerco di essere sempre preparata, mi sono sentita un’aliena a cui nel tavolo delle discussioni toccava l’angolo e che tutti guardavano con sospetto, sorpresi di scoprire che avessi delle qualità etichettabili. Li vedi sgranare gli occhi e fissarti. Ho ormai superato i 40 anni, ho fatto scelte difficili, non ho accettato compromessi ed ho placcato le molestie, il body shaming e le offese di ogni ordine e grado, mi è costato? Moltissimo, ma non mollo e vorrei che come me le donne fossero ciò che desiderano in ogni istante, che nessuno le trattasse come vittime senza anima o come carnefici senza speranza.

Dovremmo avere la libertà di dire che la maggior parte delle donne pagano ancora un prezzo altissimo, per non uniformarsi a chi decide di essere la segretaria ammiccante o l’accompagnatrice di turno, non si può decidere di farsi paladina delle altre ad uso e consumo della nostra posizione, si è donne sempre, in qualsiasi circostanza con obiettività, volontà e sacrificio. Non ho sentito nessuno dire che se non si parte da questo non c’è alcuna legge che tenga per la parità di genere, tutto fumo e niente arrosto. Non molliamo anche quando sarà dura, quando ci sembrerà impossibile rompere gli schemi, non molliamo.

Ho giurato di non stare mai in silenzio, in qualunque luogo e in qualunque situazione in cui degli esseri umani siano costretti a subire sofferenze e umiliazioni. Dobbiamo sempre schierarci.
La neutralità favorisce l’oppressore, mai la vittima.
Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.