Non è rossa, la nostra è zona grigia: tra furti e difficoltà economiche, intervista ad alcuni imprenditori campani

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di Maura Messina

Abbiamo incontrato tre imprenditori campani, Giuseppe, Salvatore e Ciro, per parlare di come stanno vivendo questo nuovo periodo di restrizioni dovute al covid-19. Giuseppe ha un negozio di abbigliamento, Salvatore è proprietario di un bar e Ciro è un pizzaiolo.

Giuseppe tu sei un imprenditore che si è trovato ad affrontare, come molti del settore, il primo lockdown e la seconda ondata del virus. Puoi raccontarci di cosa ti occupi e la differenza che c’è stata tra la gestione del periodo di marzo e quello che adesso stiamo vivendo?

Mi occupo di scarpe e abbigliamento sportivo (negozio: Global Sport One a Volla). Prima di parlare dell’aspetto commerciale credo sia doveroso ricordare le tantissime vittime e soprattutto il modo cui sono morte. Inoltre approfitto per accendere un faro sui “malati incurabili” per l’emergenza COVID19. 

Prima di tornare alla domanda, vorrei far riflettere anche sulle restrizioni che abbiamo dovuto imporre ai bambini, credo che siamo entrati nella storia per i suddetti motivi. Detto questo, secondo il mio punto di vista, ho sempre sostenuto che lo Stato doveva fermare tutto dal primo momento. Intendo che bisognava ripartire quando eravamo pronti per affrontare l’emergenza in piena sicurezza. Sarebbe stato doveroso un congelamento totale di tutte le attività, tranne quelle indispensabili. A marzo c’è stato il primo lockdown, tutti a casa in sicurezza, anche i ladri, e non si poteva nemmeno scendere con il cane, mentre da maggio in poi lo Stato ci ha liberati totalmente. 

In che senso “liberati”?

Liberi di fare tutto, mi è sembrata una grossa pagliacciata: buono vacanza, buono monopattino, computer ecc… Poi dopo le vacanze e le elezioni ci siamo ritrovati nelle stesse condizioni di marzo, anzi peggio. I media spaziano come vogliono, a seconda degli interessi della politica e le tv trasmettono notizie per condizionare il Paese. La differenza tra Il primo e il secondo lockdown è che sono finiti i fondi, credo che siano state fatte manovre politiche che al momento appaiono incomprensibili…solo dopo anni verranno fuori le dovute spiegazioni. Per tutti i commercianti il disagio è grande, perché mentre per i ristoratori c’è stato un supporto economico, per noi del settore abbigliamento e calzature non sono stati previsti aiuti. L’assurdità è che “perché siamo aperti” per lo Stato va tutto bene. Ma con tutte le restrizioni che ci sono, a chi dovremmo vendere? Nel mio caso si è aggiunto anche un furto quasi totale della merce che avevo nel negozio, un’azione delinquenziale che mi ha ulteriormente messo in difficoltà. Se potessi rivolgermi direttamente alle istituzioni chiederei di dare supporto a tutti i commercianti in maniera concreta e di non sperperare più soldi in manovre ridicole.

Parliamo con Salvatore. Tu gestisci un bar, come stai vivendo questo 2020?

Ho vissuto una situazione abbastanza particolare avendo inaugurato il 27 febbraio e dopo soli 13 giorni è arrivata la chiusura “lockdown”. Parliamo di un bar (Neo Caffè a Volla), quindi chi è del settore comprende benissimo sacrifici e costi per affrontare un’attività del genere. Nella mia situazione paragonando il primo lockdown al secondo posso già annunciare che questo che stiamo vivendo è molto più difficoltoso. Vivo la realtà della lentezza economica dovuta alla mancanza di affluenza dei clienti causata dalle restrizioni ma sopratutto vivo l’agonia di zero aiuti da parte dello Stato. Aiuti che potrebbero servire per tenerci in vita. Vorrei semplicemente poter lavorare e sopravvivere, farlo in sicurezza e riuscire a tenere viva la mia attività. Ogni attività imprenditoriale è stata creata con tanti sacrifici dei quali lo Stato dovrebbe tener conto.

Oltre alle restrizioni, abbiamo saputo che hai subito da poco un tentativo di furto nel tuo locale, puoi raccontare cosa è accaduto e in che modo, secondo te, questo fatto può essere collegato alle restrizioni imposte dai DPCM e dalle Ordinanze Regionali?

In questo periodo, come nel primo lockdown, le misure restrittive involontariamente invogliano a chi vive di questi gesti e di queste vigliaccherie a darsi da fare! 

Come il primo lockdown ma oggi ancora di più, con maggiore insistenza da parte di questi malfattori, i furti sul territorio sono aumentati. Alcuni colleghi del mio settore sono stati anch’essi colpiti… la causa è il coprifuoco imposto e la mancanza del controllo territoriale da parte delle forze dell’ordine che offre campo libero a chi si occupa di questi gesti! 

A questo punto posso solo dire che questa è l’ennesima difficoltà che ci tocca vivere in questo periodo complicato per tutti.

Mi appello alle istruzioni semplicemente per dire che le loro linee guida e le restrizioni dovrebbero essere concepite per lo meno per metterci in condizione di sopravvivere e di poter mantenere viva la nostra realtà aziendale o al dettaglio.

Voglio sottolineare che ogni azienda, ogni commerciante vive una realtà e una difficoltà diversa dall’altro, quindi entrare nello specifico di ognuno sarebbe complicato. Lo Stato dovrebbe almeno cercare di interfacciarsi in maniera concreta con ogni realtà commerciale per capirne le difficoltà. Non ha senso creare misure a caso come quelle adottate per i ristoranti dove l’impossibilità di lavorare è palese! Chiedo semplicemente di permetterci di convivere con questo virus lasciandoci lavorare.

Ciro abbiamo notato un manifesto funerario che hai affisso pochi giorni fa nel quale il defunto è “Pizza Napoletana”, puoi spiegare questa iniziativa?

L’idea del manifesto mi è venuta appena hanno stabilito la chiusura al pubblico dei locali. Io lavoro presso il “Ristorante e Pizzeria Antico Borgo ai Vergini” a Napoli. Il manifesto è stato un modo per sottolineare il momento drammatico che stiamo vivendo e per chiedere il supporto dei cittadini invitandoli a sostenere la ristorazione ordinando i piatti preferiti a domicilio. 

Le scelte operate dal governo hanno penalizzato tutti i settori, compreso quello che rappresento.

Limitare la ristorazione al solo asporto e alla consegna a domicilio è una vera condanna a “morte lenta” per chi lavora in questo settore. Da quando è iniziata la pandemia abbiamo seguito tutte le direttive per limitare il contagio e accogliere i clienti in sicurezza. Le indicazioni hanno comportato anche degli investimenti economici, penso alle sanificazioni dei locali, l’installazione delle colonnine, l’acquisto dei dispositivi di sicurezza, il dimezzamento dei posti a sedere per garantire le distanze di sicurezza. In poche parole noi abbiamo veramente fatto tutto ciò che il governo ha richiesto e dopo tutti questi sforzi cosa chiedono? Di chiudere al pubblico e di lavorare solo con l’asporto e la consegna a domicilio. Siamo abituati ai sacrifici e stiamo resistendo anche a queste ulteriori limitazioni. Ma non possiamo non pensare a chi ha dovuto chiudere, non possiamo non pensare che lo Stato dovrebbe fare di più. Se non ci mettete in condizione di poter lavorare, pian piano saremo costretti a chiudere tutti le nostre attività. Prima che si giunga ad un punto critico di non ritorno, è dovere di chi ci governa quello di non lasciare soli gli imprenditori. Bisogna pianificare un sopporto economico concreto per l’intera popolazione colpita dalla pandemia, bisogna fare qualcosa prima che, su quel manifesto, accanto a “Pizza Napoletana” si venga a creare un elenco infinito di attività che non sono sopravvissute. E attenzione, il problema non è il virus che uccide le attività, ma la mancanza di un buon governo che compia scelte doverose nei confronti dei cittadini che intende rappresentare.

Sandro Pertini disse:“Bisogna che il governo si adoperi per trovare sorgenti di lavoro, per fare in modo che tutti gli italiani abbiano una occupazione. Questo è quello che deve fare il governo, questo è quello che deve fare il parlamento.” Mai queste parole furono più adatte al momento che stiamo vivendo, nello specifico aggiungeremmo: bisogna che il governo tuteli il lavoro che esiste e non lo lasci morire.

Maura Messina, art-designer napoletana, classe 1985. Da sempre sensibile alle tematiche ambientali, in particolare al dramma della terra dei fuochi. Dal 2014 collabora con varie testate giornalistiche. Autrice del libro illustrato autobiografico “Diario di una kemionauta” e del romanzo distopico “4891 la speranza del viaggio”, editi da Homo Scrivens. Ha partecipato a numerose mostre d’arte come pittrice. Il suo motto è: per cambiare il mondo basta napoletanizzarlo.