“Non sono gli individui ad essere responsabili del fallimento del matrimonio: è la sua stessa istituzione ad essere originariamente perversa.”

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di Maria Rusolo

“Non sono gli individui ad essere responsabili del fallimento del matrimonio: è la sua stessa istituzione ad essere originariamente perversa.”

Quando ho deciso di leggere Monogamia di Miller e l’arte del Matrimonio di Hadley non pensavo che il Pupone e la moglie avrebbero deciso di comunicare al mondo che hanno deciso di separarsi legalmente e definitivamente. Li ho presi perché da sempre sono affascinata dai legami familiari e dalla crisi che spesso alberga in stanze, spesso chiuse, ed anche per arricchire il mio bagaglio nella mia attività professionale, che non si alimenta solo di codici e sentenze, ma anche e soprattutto di visioni umane e psicologiche.

Mi affascinano le coppie, le dinamiche, ciò che conduce gli esseri umani ad impegnarsi in quel per sempre che in realtà spesso, quando dura è frutto di compromessi o di interessi personali ed economici, di paure e di vergogna o di rispetto per dinamiche sociali e culturali, più che di valutazioni che attengono ai sentimenti, alla passione o all’amore fisico e mentale. In entrambi i romanzi le autrici scavano nell’animo umano, con la perizia di un medico legale che svolga un’autopsia e mostrano come in realtà a volte si preferisce non vedere quello che ruota intorno all’esistenza pur di continuare a vivere in una nuvola di serenità.

Nulla è mai come sembra ed il matrimonio è un bicchiere di cristallo delicatissimo che seppure scheggiato si continua ad utilizzare sperando mantenga al suo interno acqua a sufficienza per dissetare le membra stanche dopo una giornata di caldo eccessivo. Alla luce di queste considerazioni mi chiedo che cosa spinga le persone ad essere così tanto coinvolte dalla rottura di un vincolo tra due coniugi, soprattutto quando i protagonisti appartengono al mondo dorato dei ricchi e famosi, la risposta in realtà può sembrare banale, ma getta comunque un po’ di luce su come si relazionano gli esseri umani al dolore degli altri.

E’ in fondo bellissimo, per chi vive delle difficoltà rosicare le pareti sino ad insinuarsi nella camera da letto, per scorgere e scoprire che anche quelli belli e che possiedono tutto quanto di materiale non si possa possedere, hanno tresche, segreti, infelicità, delusioni, sogni infranti e spezzati tra le dita. Nasce una sorta di cinica voglia di rivendicazione, come se l’ordine delle cose fosse nuovamente al proprio posto, come se fosse possibile finalmente respirare per un attimo, pensando che anche le altre case siano invase dal buio del lutto e del dolore, che anche altrove dovranno fare i conti con il pianto di un bambino sballottato tra una casa e l’altra, con procedimenti dinanzi ad un giudice per divedersi i quadri appesi alle pareti o il servizio buono regalato dalla nonna il giorno del matrimonio.

Ecco arrivare il Karma, la giustizia divina che mette ordine nel Caos ed è proprio il caso di dire finalmente ” anche i ricchi piangono”. Non è la prima volta, pensate a quanta attenzione per altri divorzi famosi seguiti in maniera morbosa con tanto di titoloni e registrazioni in diretta delle udienze, dove ogni atteggiamento intimo diviene di dominio pubblico. Non esiste più il decoro, la riservatezza, il pianto silenzioso, ma si abbraccia la strada della necessità di processare le coppie, di stabilire chi abbia fatto cosa e come e se ci siano storie da poter raccontare.

L’infelicità diventa nutrimento, diventa pane per i cani arrabbiati dei social che si sentono nel diritto- dovere di esprimersi senza un minimo di epatica compassione. Le vite personali diventano lontane, gli affanni, le bollette, il caro carburante, i figli che fanno impazzire, il mutuo, la guerra, il covid, per un attimo tutto si dimentica e la calma giunge, mentre sul divano scorriamo le notizie. Vorrei dire che si tratta di un fenomeno moderno, ma ahimè mia nonna direbbe ” mondo è stato e mondo é”, solo che oggi non si mormora alle spalle si usa la piazza virtuale, non ci si vergogna del pettegolezzo, non lo si fa più di nascosto, si vive nella convinzione di poter aggredire tutti e di sapere tutto.

Come sarebbe bello invece imparare che semplicemente l’amore va e viene o si trasforma in altro e che tutto se racchiuso nelle mani di chi soffre ha la possibilità di stemperarsi senza grandi tragedie. Se si insegnasse ai bambini ad essere empatici a coltivare la relazione umana, ci troveremmo al cospetto di adulti migliori, anche dinanzi alle difficoltà o ad una casa che viene scossa da un temporale o da un terremoto, perché poi in un modo o nell’altro tutto torna al suo ordine.

I romanzi finiscono col matrimonio dell’eroe con l’eroina. Bisognerebbe invece cominciare da questo, e finire che si sono separati, cioè liberati l’uno dell’altro.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.