Nuove piramidi

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di Alfredo Carosella

In tanti si stanno chiedendo come abbia fatto il Qatar ad aggiudicarsi la possibilità di organizzare i Mondiali di calcio appena iniziati.

Viste le condizioni climatiche proibitive, è stato impossibile programmarli come di consueto in estate, e sono stati scelti i mesi di novembre e dicembre che hanno reso necessaria la sospensione dei campionati di calcio in diversi paesi. Una sospensione finora inimmaginabile in Europa, dove da sempre la preparazione atletica si svolge secondo dei ritmi consolidati e i diritti televisivi corrispondono a montagne di denaro.

Come è potuto accadere? I qatarioti hanno dovuto mettere sul piatto della bilancia somme mai spese prima per un mondiale di calcio: alcune stime parlano di 250 miliardi investiti in un arco temporale di circa 20 anni, nel corso del quale si sarebbe preparato il terreno per ottenere il risultato odierno. Tutto sarebbe iniziato dopo il primo Mondiale disputato in Asia, quello del Giappone e Corea del Sud, quando il qatariota Mohamed bin Hammam divenne presidente dell’Asian Football Confederations ed ebbe l’idea di far crescere il movimento calcistico nel suo paese. Nel 2011, per corruzione, Hammam è stato squalificato a vita dalla Fifa, la Federazione Internazionale che organizza le manifestazioni internazionali del calcio – compreso il Mondiale -, calcio a cinque e beach soccer.

Nel 2010 la Fifa ha assegnato i Mondiali al Qatar con il voto di 14 membri su 22 (8 hanno votato per gli USA). È bastata la decisione di 14 persone.

Dal 2016 il presidente della Fifa è lo svizzero Gianni Infantino che, nel corso della conferenza stampa di apertura del Mondiale in Qatar, rispondendo ad alcune domande riguardo ai diritti umani nel paese ospitante ha dichiarato: “Per quello che noi europei abbiamo fatto in giro per il mondo negli ultimi 3.000 anni, dovremmo scusarci per i prossimi 3.000 anni prima di iniziare a dare lezioni morali alle persone. Queste lezioni morali sono solo ipocrisia.” Per rafforzare il concetto ha aggiunto di sentirsi arabo, africano, gay, disabile e migrante. Il fatto è che, proprio in Qatar, non potrebbe dichiararsi gay in quanto lì l’omosessualità è proibita e considerata un “danno mentale”, come dichiarato dall’ex nazionale del Qatar Salman.

C’è anche il divieto di bere alcolici, nonostante lo sponsor di uno dei maggiori produttori mondiali di birra che per l’evento ha sborsato 75 milioni di dollari.

Sorge spontanea un’altra domanda: perché? Qual è il motivo che ha spinto un paese, sia pure ricchissimo, a spendere una cifra colossale pur non avendo alcuna tradizione calcistica? Ai due milioni e trecentocinquantamila abitanti del Qatar, un paese grande quanto la Basilicata, il calcio interessa talmente poco che, a quanto pare, è stato chiesto ai lavoratori venuti dall’estero per costruire le infrastrutture connesse all’evento sportivo, di “vestirsi da tifosi”. Si tratta di un’ipotesi da verificare, basata su alcune immagini che circolano sui social network, ma una cosa è certa: finito il Mondiale, degli stadi che possono contenere fino a 80.000 posti non sapranno più cosa farsene.

Per costruire tutto a tempo di record, sono state reclutate oltre due milioni di persone provenienti da vari paesi, quali India, Pakistan, Bangladesh: un esodo biblico!

Lo sfruttamento del lavoro asiatico non è nuovo da queste parti, basti vedere cosa hanno costruito in pochi anni a Dubai, in pieno deserto, nei vicini Emirati Arabi Uniti: un gigantesco luna park per adulti con canali e isole artificiali, fontane, giardini incantati, centri commerciali con una pista di pattinaggio e persino una da sci, la ruota panoramica più grande del mondo (che però non funziona), il grattacielo più grande del mondo. Lì la motivazione è chiara: il petrolio sta per finire e occorre trovare in fretta fonti di profitto alternative. Gli emiratini originari sono una minoranza pari al 10% della popolazione, lavorano per l’emiro, quando si sposano ricevono una villa e una cospicua dote in denaro. Il 90% è costituito da immigrati, diversi dei quali sono ricchi affaristi e imprenditori e tutto il resto è manovalanza. Inoltre, Dubai è diventata la quarta meta più visitata al mondo: circa 20 milioni di turisti l’anno che generano l’11,5% del PIL.

C’è da credere che un ragionamento analogo sia stato pensato per il Qatar.

Secondo un’inchiesta del Guardian, le condizioni estreme nelle quali le maestranze sarebbero state costrette a lavorare per le infrastrutture del Mondiale, avrebbero causato 6.500 vittime e un numero imprecisato di invalidi. Per non parlare dei danni ambientali prodotti dalle nuove costruzioni, dalla quantità di energia necessaria e proveniente da fonti fossili. I danni ambientali sarebbero stati inferti ovunque ma forse in misura minore in luoghi dove non è necessario avere l’aria condizionata sul campo da calcio e sugli spalti. E i morti sul lavoro? Come non pensare alla costruzione delle piramidi in Egitto?

 

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