di Alessandro D’Orazio
Il problema dello smaltimento dei rifiuti nei vari Paesi industrializzati ha da sempre destato grande attenzione all’interno delle opinioni pubbliche nazionali. In particolare, il frequente ricorso all’incenerimento degli scarti ha provocato crescente consapevolezza della pericolosità non solo dei fumi inquinanti, ma soprattutto delle ceneri e fanghi residui, al cui interno sedimentano metalli pesanti tossici; a tale dilemma si lega il fatto che queste sostanze devono essere smaltite tenendo conto della loro nocività e dei costi molto elevati. Per queste ragioni, bruciare i rifiuti negli inceneritori non risolve in via definitiva il problema dello smaltimento, nè ripara l’uomo dalle conseguenze negative causate all’ecosistema.
A destare maggiori difficoltà sono i cosiddetti “materiali post consumo” (MPC), cioè quei rifiuti composti in media per il 55% di frazione bio-degradabile, la cui parte umida genera notevoli problemi di inquinamento sia per le discariche che per i sistemi di incenerimento. In considerazione di ciò, sono stati numerosi gli studi e le possibili strategie elaborate in alternativa alla combustione dei rifiuti.
Tali sforzi, tuttavia, necessitano del finanziamento di nuovi impianti ed infrastrutture collegate a tecnologie altamente innovative: tutti concetti che, a ragion veduta, si scontrano troppo spesso con la naturale logica di massimizzazione del profitto operata da gran parte dei poli industriali d’occidente, Italia compresa. Quando si comprenderà, infatti, che industria, ambiente e salute possono viaggiare nella stessa direzione, solo allora sarà possibile dare una concreta risposta agli interrogativi sinora sollevati.
I Paesi del Nord Europa, come spesso accade, sono stati i primi a sperimentare nuove forme sostenibili di smaltimento; a Copenaghen ad esempio è presente nel centro cittadino un termovalorizzatore che, oltre a non inquinare e produrre energia dai rifiuti a favore della città, dando corrente a 62.500 abitazioni e acqua calda ad altre 160mila, è dotato sul tetto persino di una pista da sci! Negli Stati Uniti e in Germania la corsa alla costruzione di inceneritori si è oramai conclusa.
Gli stessi sono stati infatti sostituiti, negli USA, dalla raccolta differenziata spinta e in Germania da impianti di Trattamento Bio-Meccanico di altissima efficienza. In Italia una soluzione interessante è rappresentata proprio dai materiali biodegradabili come il Mater Bi dell’italiana Novamont. Il produttore di plastica Equipolymers, invece, che produce Pet per le bottiglie e per altre applicazioni, ha messo a punto una nuova tipologia di plastica che si presta al contatto con gli alimenti.
A conclusione dell’inchiesta condotta, gli spunti di riflessione proposti ci inducono a ritenere concrete le soluzioni prospettate alla crisi italiana dei rifiuti, non facendo a meno di sottolineare che programmi di riciclaggio andati a buon fine in città del Canada, dell’Australia e del Belgio, con stime pari al 70%, hanno portato a significativi risultati in tale direzione.