Odio gli indifferenti

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di Maria Rusolo 

Immagine di Enki Bilal

“Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Il governo a guida Draghi sembra essere una realtà, poche battute affidate ai microfoni in questa settimana, e l’elenco dei ministri in poche scarne parole. Sabato la cerimonia del giuramento della squadra che guiderà il Paese non si sa bene per quanto tempo, e retta, pare, da una ampia maggioranza che vede all’opposizione solo Fratelli d’Italia della Meloni.

Ci si potrebbe fermare qui, non avendo ancora ascoltato quale sia il programma che il neo presidente del Consiglio presenterà ai due rami del Parlamento, se non fosse, che molto c’è da dire su quanto sta accadendo in queste ore e che non è di poco conto. Una analisi politica e culturale è a mio avviso necessaria, qualche parola può e deve essere spesa, per una comunità travolta dagli eventi, dalle dichiarazioni rese nei talk show e dalle notizie diffuse ogni secondo della giornata attraverso i canali social.

La riflessione è pratica sempre necessaria, anche quando ci sono scelte che sembrano essere ” obbligate”, si devono vivere gli eventi, si deve osservare e si deve comprendere bene ciò che ci attende e ciò che potrebbe attenderci. I fatti non sfuggono al nostro controllo, ci hanno detto in questi anni che non abbiamo potere, che in qualunque maniera decidiamo di esercitare il nostro consenso, le cose sono e resteranno sempre identiche, e più volte da questo spazio, ho provato a spiegare che non è così, che non può e non deve essere così. La nostra opinione conta, il nostro muoverci nel mondo ha dirette conseguenze su noi stessi e su quelli che ci circondano.

Ero favorevole ad un cambio di rotta, resto favorevole al cambio di passo, non mi ha entusiasmato la scelta di continuità per alcuni ministeri, avrei voluto, in tutta onestà una rottura radicale, ma non sono una sprovveduta e comprendo bene che per avere la maggioranza in Parlamento non si poteva prescindere dalla volontà dei Partiti. Il dato che emerge in tutta la sua evidente efficacia, è che quei partiti non hanno una classe dirigente degna di questo nome e che meglio di così era difficile fare. Non mi soffermerò sulla scelta del Partito Democratico di puntare, ancora ed ancora sugli stessi nomi che vivono di dinamiche settarie ormai da decenni, e non mi soffermerò sul fatto che in quel Partito si è pensato bene di bypassare qualsiasi rappresentanza femminile, come se alle donne a cui vengono affidati posti nelle liste in campagna elettorale, più per rispetto delle quote e per mero esercizio di stile non possano essere affidati ruoli di comando. Non mi meraviglia, e non potrebbe, io che in quel Partito ci ho militato per molti anni, queste cose le dico da tempo senza che nessuna altra donna abbia mai appoggiato le mie posizioni, per cui come diceva mia nonna, ” chi va per questi mari questi pesci prende”.

Ritengo sia doveroso però dire, che non esistono uomini dei miracoli, e che non credo nell’uomo solo al comando, credo sicuramente nella buona pratica amministrativa che deve essere orientata da una posizione chiara e netta e di tipo politico, e sommessamente faccio notare che chi si era illuso di avere un governo tecnico ha dovuto constatare che non c’è nulla di più politico di questo Governo, ma la cosa in tutta onestà non mi dispiace. Ritengo che infatti, il problema del nostro Paese non sia la troppa Politica, ma l’esatto contrario, manca ormai da decenni una visione strategica di lungo periodo che solo una classe dirigente capace e che viene da una formazione esemplare e che conosce i territori può fare.

Manca da tempo la formazione culturale che spinge i giovani ad impegnarsi per costruire una comunità sulla base dei bisogni e delle proprie speranze, manca la capacità di aggregare e di condividere aspirazioni e necessità. Quindi quanto accade in queste ore non ci dovrebbe neanche per un attimo lasciare indifferenti, al contrario dovrebbe essere la spinta a ricostruire un percorso politico serio fatto anche e soprattutto di militanza attiva. Mio padre vecchio comunista e sindacalista mi diceva che un partito muore quando si distacca completamente dalla propria base, quello che oggi chiamiamo elettorato; muore quando si chiude nelle logiche dei palazzi e si fa afferrare dai meccanismi del Sistema di Potere e perde di vista l’interesse generale.

Credo sia stato un insegnamento fondamentale per me, e credo che dovrebbe essere il canovaccio da cui ripartire per chiunque voglia mettersi in discussione e migliorare il mondo che ” ci ruota intorno”. Ci sono argomenti e discussioni non più rinviabili. Ben venga la transizione ecologica e digitale, ben vengano le prese di posizione delle donne che si vedono scavalcate ad ogni occasione, ben vengano le politiche di investimento nella cultura e nella formazione scolastica ed universitaria, ben vengano le politiche dirette a realizzare la tanto sbandierata ” eguaglianza sostanziale” tra gli individui.

Possiamo da questo momento decidere se stare a guardare o se essere attori attivi di questo cambiamento, siamo noi gli interlocutori privilegiati, siamo noi a dettare i punti strategici della agenda di governo, perché il fatalismo alla Rossella O’Hara non regge più allo Tsunami degli eventi e perché un campo arido non consegna frutti alle future generazioni.

“Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.