Parole sguaiate

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di Maria Rusolo

“La nostra classe politica, che in tempi lontani annoverava ottimi parlatori e oratori, tende sempre più ad abbassare il registro, perché pensa di conquistare più facilmente il consenso ponendosi a un livello meno elevato. È la tentazione, strisciante, del populismo. Naturalmente questo implica il degrado anche delle argomentazioni, perché, ai livelli alti, il linguaggio è molto più ricco e duttile.“

Scrivere mi risulta difficile in questi giorni, la pagina bianca mi fissa dallo schermo, e finisce per riempirsi di parole sconnesse e prive di punteggiatura, come se gettassi lì su quel foglio virtuale tutta la mia ansia accumulata in questi mesi strani, in questi tempi complicati, in questi tempi senza tempo, senza musicalità e senza spazio.

Le informazioni arrivano dal mondo che mi circonda ad una tale velocità e non riesco a comprendere fino in fondo quello che accade e quello che potrebbe essere il futuro; è come se fossi collocata nel presente, in una giornata che si veste di abiti nuovi ma che ha un respiro corto ed affannato, eppure tutto corre ed è come se non riuscissi ad afferrarlo. Tutto sembra sbiadito, tutto sembra aver perso materialità e come se il mio corpo volesse difendersi da una tempesta di cui non conosco i tratti, ma che sento nell’aria.

E le parole sguaiate rimbombano e si spaccano sui bisogni umani e sociali, che nessuno sembra cogliere. Come se la gente che si riversa in strada per rivendicare il diritto all’esistenza non esistesse, come se la polizia che carica donne disarmate non fosse già un monito efficace ai potenti boriosi della terra, come se un uomo, un uomo ucciso sul selciato da chi detiene un briciolo di potere non dovesse da solo essere un punto di rottura tale da indurre tutti a fermarsi ed a riflettere su quanto accade, è accaduto e sta per accadere.

C’è qualcosa che bolle, che scalpita per uscire dal vaso di pandora e che ha una forza dirompente e furiosa , più di qualsiasi virus o malattia, è un morbo sordo, muto, cieco, che investe e trafigge gli esseri umani e per cui non esiste un vaccino efficace da elaborare in un laboratorio medico di qualche centro di ricerca. Si chiama assenza di umana accoglienza ed è alimentato dalla non cultura, dalla paura, dalla mancanza, dalla incapacità di essere uguali tra gli uguali, di non riconoscere che la differenza è il più grande strumento di arricchimento di una società e non il mezzo attraverso cui alimentare il potere per il potere.

Hanno ridotto gli esseri umani a bestie pronte a sbranarsi, al solo scopo di gestirle; hanno alzato barriere e recinti, muri e steccati, hanno usato parole banali e senza senso per nascondere le mancanze di un sistema che non offre risposte, hanno ucciso ogni sogno e speranza in nome di una idea culturale unica diffusa dai balconi delle piazze affollate. Più le parole sono solo forma, più le parole sono semplici, più si appiattisce l’umana conoscenza più si alimentano i regimi.

Si, perché di regimi si tratta, di regimi ammantati e mascherati da democrazie apparenti e nei quali non c’è alcuno spazio per un pensiero libero e divergente. Ma la rivolta cova sotto la cenere, e basta una scintilla pacifica ed intelligente per far esplodere e rendere visibili a tutti i trucchi del populismo e della incapacità. Come la freccia scoccata in Hunger Games dalla Ghiandaia Imitatrice simbolo di intelligenza e di speranza.

E tocca aggrapparsi alle nostre differenze, e tocca tornare ad afferrare le armi che possediamo, e tocca tornare a stringersi oltre ogni paura, e tocca tornare ad abbracciarsi in nome di qualcosa di più alto e bellissimo della banale sopravvivenza al bisogno, perché vivere è un diritto che non può essere alienato, vivere è quello che è dato quando il mondo urla, e bisogna farsi avvolgere dal vento e lottare, perché la complessità sia risorsa di cui nutrirsi e bagnarsi, senza paura o timore di affondare.

 “Non è nella mia natura cedere senza lottare, anche quando le difficoltà sembrano insormontabili.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.