Serbia – Albania: quando il calcio diventa politica

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Europei di calcio 2016: durante i sorteggi di Nyon per i gironi di qualificazione, l’urna decise di ‘giocare’ con la storia, proponendo alla terza giornata del gruppo I l’incontro ad alta tensione tra le nazionali di Serbia e Albania. Qualche giorno fa, il 14 ottobre, quindi, al Partizan Stadium di Belgrado le due compagini si sono ritrovate di fronte. Gli albanesi guidano il gruppo I grazie alla sorprendente vittoria in Portogallo, mentre i serbi sono reduci da uno striminzito pareggio contro la modesta Armenia. La partita è abbastanza corretta e vede un leggero predominio dei serbi, che però non riescono a sbloccare il risultato. Tutto d’un tratto poi si scatena il finimondo con il prato di gioco che si trasforma in un vero e proprio campo di battaglia. 
Siamo verso la fine del primo tempo, quando un drone con una bandiera della Grande Albania, con la scritta “Kosovo autoctono” e la data del 1912 (la rivolta albanese), sorvola il Partizan Stadium, planando verso il campo. L’arbitro Atkinson sospende per un attimo la gara e il giocatore della Serbia Mitrovic riesce a far sua la bandiera e a scagliarla via. Il gesto non piace per nulla ai giocatori albanesi e il risultato è un tutti contro tutti sull’erba dello stadio. Atkinson è costretto a sospendere temporaneamente il match.


Dopo un quarto d’ora si prova nuovamente a ricominciare ma ormai gli animi sono troppo accesi, in campo e sulle tribune. Troppo pericoloso andare avanti con quel clima e così l’arbitro inglese decide di sospendere definitivamente la partita.
I motivi di astio tra serbi e albanesi sono di lunghissima data. È dalle invasioni ottomane fino alla fine dei regimi comunisti che si crea la linea di demarcazione e di auto-identificazione delle comunità, sotto una competizione di storia, tradizione e interessi nazionali e alleati esterni diversi. A ciò si aggiunge la dissoluzione della Jugoslavia dopo il 1991 e il sorgere della politica su base etnica che hanno contribuito ad ampliare l’antagonismo tra i due popoli. Il tutto si è aggravato poi col conflitto in Kosovo, territorio cui – al contrario dei serbi – gli albanesi riconoscono l’indipendenza. 
Di norma l’Uefa può porre dei paletti al fine di non accoppiare determinate nazioni nello stesso raggruppamento, come nel caso – ad esempio – di Armenia e Azerbaijan, divise dalla questione del Nagorno-Karabakh, tra Russia e Ucraina e tra Spagna e Gibilterra. Il match tra le due squadre balcaniche, invece, non ha avuto alcuna restrizione da parte dei vertici del calcio europeo che si sono basati anche sul precedente accoppiamento tra Serbia e Croazia per le qualificazioni al Mondiale brasiliano: in quell’occasione la soluzione fu vietare l’accesso allo stadio alle rispettive tifoserie in trasferta, decisione presa – in un secondo momento – anche per la partita in questione, ma che – come illustrato – non è bastata per non scatenare tensioni. 
Secondo indiscrezioni trapelate dal giornale serbo Tanjug, dietro questa pittoresca e futuristica invasione ci sarebbe la mano di Orfi Rama, fratello di Edi, primo ministro dell’Albania. La commistione tra calcio e politica è chiaro che non dovrebbe esistere e durante i novanta minuti bisognerebbe pensare solo a quella sfera che rotola e a quei ventidue che la rincorrono ma è altrettanto chiaro che la faccenda molte volte non va proprio così. In molti casi ci sono di mezzo secoli di storia e di sangue che ovviamente non possono essere messi da parte con una semplice partita di pallone. Forse è una sconfitta ammettere che talvolta anche lo sport – che, si sa, dovrebbe unire – dovrebbe necessariamente fare un passo indietro, al fine di scongiurare scene pietose e pericolose come quelle viste l’altra sera a Belgrado. Che se lo ricordi l’Uefa in occasione dei prossimi sorteggi!

Nato a Napoli nell’agosto dell’Ottantatré, cresciuto attorno al rione San Paolo di Casoria a pane, pallone e musica rock. Dopo la maturità scientifica conseguita col minimo dei voti cambia decisamente rotta laureandosi in Storia con centodieci. Oltre al Napoli, ama tutto ciò che riguarda libri e dischi. Da sette anni padrone di un meticcio di nome Polly che lo ha avvicinato tantissimo al mondo dei cani e degli animali in genere. Vive sognando, in particolare girare il mondo in camper con la sua Anna, e parlare, un giorno, di fuorigioco e tattica con suo figlio allo stadio, oltre, ovviamente, a crescere sempre di più nel campo del giornalismo…ma non solo.