Temptation Island, qualcosa di cui (s)parlare

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A poche settimane dall’inizio della quinta edizione del reality show Temptation Island, dubbi, incertezze e perplessità attanagliano i telespettatori tutti: chi tradirà chi? Chi lascerà chi? Ma, soprattutto, chist overament stann a fa?

Scopiazzato as usual da un format statunitense che porta lo stesso identico titolo, la versione italiana del reality Temptation Island reca la firma di Maria de Filippi, conduttrice nella prima edizione ma non nelle altre, durante le quali è stata soppiantata da Filippo Bisciglia, un uomo, un mito: riesce a non ridere e a mantenere un’espressione facciale contrita in situazioni che richiederebbero di cadere dalla sedia dalle risate.

Sei coppie che dicono di aver accettato di partecipare per capire se davvero sono innamorate, divise in due diversi villaggi che nemmeno l’apartheid. In ognuno di questi villaggi ci sono dodici donne e dodici uomini che hanno la stessa funzione della sfogliatella riccia mentre sei a dieta, quella di far cadere in tentazione il malcapitato di turno.
Lo scopo del gioco, contrariamente a quanto leggerete su Wikipedia, è quello di far atrofizzare i neuroni sani del vostro cervello per poterli sostituire con tante minuscole unità cellulari composte per il 65% di complessi mentali ed il restante 35% di stupidità.

O, per lo meno, questo è ciò che i miei pregiudizi mi avevano portato a pensare del reality in questione prima che madre e sorella mi spodestassero dal divano di casa e si impadronissero del telecomando, costringendomi a guardarlo.

Superati i primi due minuti di sbuffamenti vari (io volevo vedere cose più allegre: tipo i ritrovamenti di cadaveri su Investigation Discovery), dopo dieci minuti di programma ero già ad implorare Google di consigliarmi qualche super dieta lampo per perdere 35 chili in cinque giorni. Amazon mi ha subito proposto foto di creme anticellulite (sì dai, questa la prendo che c’è il 3×2) e Google Maps mi ha anche avvisata che, a differenza di quanto credessi, nelle vicinanze di casa ho tre palestre ed un centro massaggi (pensa te!). Superata con successo la fase acuta dell’attacco di depressione femminile, ho staccato gli occhi dal cellulare ed ho ripreso a concentrarmi su cose ben più importanti, tipo il sedere e gli addominali dei modelli tentatori di Temptation Island.
Mi sono ritrovata, anche se costretta, a dare una possibilità a questo programma e, ahimè, ho capito alcune cose, una delle quali, in particolare, mi ha causato non pochi attacchi di panico ed una profondissima crisi di identità.
La rivelo subito, così ci togliamo il pensiero:
*mi alzo in piedi e respiro profondamente per prendere coraggio*
Ciao a tutti, mi chiamo Sara e… mi piace Temptation Island.

Ok, il primo passo è andato. Abbiamo accettato il fatto di avere un problema.
Passiamo, adesso, all’auto-analisi.
Perché cadiamo tutti nella rete dei programmi targati Maria de Filippi? Perché, anche se in pochi lo ammetteranno, l’inciucio ha un fascino a cui è difficile resistere. “Un po’ come uno di quegli incidenti d’auto che non riesci a non guardare” dice Palahniuk in Rabbia, come quando fingiamo disinteresse e intanto, senza farci notare, silenziamo la musica che stavamo ascoltando in cuffia (fanculo Liberato, aggia sentì!) per ascoltare la litigata in treno della coppietta molesta che, nonostante si trovi all’estremità opposta del vagone rispetto a noi, riesce comunque a coinvolgerci nel loro micro dramma pseudo-familiare.
Osservando i protagonisti di questa specie di esperimento socio-psico-antropologico, possono trovare conferma tutte le teorie sulla seduzione lette avidamente da bambina nei giornaletti tipo “Cioè” e “Top Girl”: l’alternanza ciclica di lei che si lascia consolare dall’altro perché sta male dopo aver visto lui fare l’imbecille con l’altra che, lo ricordiamo, si lascia posteggiare perché pagata appositamente per “tentarlo” (probabilmente nel contratto avranno una clausola dedicata ai bonus con somme in ordine crescente che partono dal bacio per finire poi a qualunque cosa ci sia oltre il bacio perché, di solito, le tentatrici si fermano con la scusa incontestabile: “io sono una ragazza seria, non posso andare oltre davanti alle telecamere. Se mi vuoi davvero, dimostralo lasciando la tua ragazza ed uscendo dal programma insieme a me”. Quando accade, la ragazza in questione, oltre al bonus vince anche una batteria di pentole Mondialcasa).

Ci stanno uccidendo poco alla volta riuscendo addirittura, com’è capitato alla sottoscritta (mea culpa, mea maxima culpa), a farci credere che sia piacevole.
E, se non vi siete accordi che, poco sopra, nella conta delle percentuali ho sforato di 10 unità, allora è proprio vero: la joint venture Maria de Filippi-Mediaset ha vinto anche stavolta.

Faccio parte di quella categoria di persone che picchia le cose quando non funzionano. E poi chiede loro scusa. Di conseguenza, le mie storie sentimentali non terminano con piatti rotti ma col diradarsi delle telefonate. Raccolgo i miei viaggi sul frigorifero. Ho paura del buio e degli angoli, come quella scena di Mulholland Drive. Alla vita non ci penso mai. Perché, se pensi alla vita, poi dici le cose banali sulla vita, tipo "eh, ma la vita è così". Ma la vita non è mai così. La vita ci si avvicina, a così. Ah, non ho mai schiacciato un insetto. Beh, forse qualcuno sì ma molto raramente, solo di notte, e mai un ragno. Lo so, è una forma di razzismo. Una volta ho fatto il contrario e sono stata redarguita dagli eventi. Prima di andare a dormire ho visto un millepiedi nella mia stanza. L'ho lasciato lì, dicendomi: 'tanto dove può andare?'. Il mattino dopo mi sono infilata le scarpe e ho sentito un rumore croccante. Ho avuto l'alluce colorato di viola per tre giorni. Sono tanti i posti in cui mi piacerebbe andare. In Islanda, in Giappone, in Antartide. Nel posto più rumoroso del mondo e nel posto meno rumoroso. Nei posti delle storie: le foresta, il bosco, il deserto, l'isola tropicale, la tundra, la giungla. Nei posti che non hanno nome. Spero che un giorno riusciranno ad inventare il teletrasporto con la riproduzione casuale.