Un martedì di passione

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UN MARTEDI’ DI PASSIONE

Amore. Passione. Malattia. Il “tifo” come patologico naufragio in un turbinio di emozioni contrastanti, un elettrocardiogramma schizofrenico che traccia le trepidanti attese, i dolori lancinanti per le sconfitte e l’euforia incontenibile per le vittorie. Di tutto questo, rielaborato in chiave rigorosamente calcistica, si è brillantemente discusso ieri pomeriggio alla libreria “Iocisto” di Napoli, traboccante di partecipazione e condivisione. L’occasione è stata la presentazione del nuovo romanzo di Maurizio de Giovanni, “Il resto della settimana”, edito da Rizzoli. A introdurre il nuovo lavoro di de Giovanni c’hanno pensato Enrico Ariemma e Renata Russo, esponenti di spicco di un gruppo di tifosi partenopei, attivissimo su facebook, denominato “Malati Azzurri”, il “bar virtuale” a cui lo scrittore napoletano ha dedicato il suo ultimo lavoro.

Ariemma, con inconfondibile taglio accademico e con punte di irresistibile ironia, si è soffermato sull’analisi del testo, ha indagato tra le pieghe dei racconti, ha individuato quel filo sottile che lega tutte le storie, il punto in cui si annodano la vita generalmente intesa e l’universo calcistico in un intreccio inestricabile nel quale non è più possibile comprendere, per dirla alla Hornby, se l’una è conseguenza dell’altro o viceversa. Anche perché, tra una domenica e l’altra, una partita di campionato e l’altra, durante il resto della settimana, quando le chiacchiere da bar si sostituiscono alle gesta dei calciatori, scorrono pezzi di vita, si accavallano e intrecciano lavoro e affetti, malinconici ricordi e ipocondriache riflessioni, nostalgici rimpianti e repentini cambiamenti.

In fondo, il calcio è una sincera metafora dell’esistenza, è un racconto che si trasmette di padre in figlio, che si trasferisce, senza soluzione di continuità, da una generazione all’altra. Tutti lo interpretano e lo vivono alla propria maniera come ha giustamente sottolineato nel suo simpatico e sagace intervento Renata Russo. Ognuno reagisce a suo modo: chi in maniera scettica, chi kantianamente critica o chi irriducibilmente ottimistica nonostante le avversità. D’altronde anche la partita si vive e soffre in maniera completamente diversa, chi allo stadio e chi in televisione, chi nella confortevole tribuna centrale e chi nella traballante curva o nella “terra di mezzo” che sarebbero i distinti per definizione di de Giovanni. Non esistono le categorie di tifosi che, peraltro, rimandano concettualmente a una sorta di irritante classismo sportivo a uso e consumo di cerchie elitarie di radical chic. Esistono le sfumature dei sentimenti ed esiste pure la ragione che ci impone di rispettare ogni manifestazione emotiva, il fischio e l’applauso, lo scoramento e l’esultanza, il post livoroso su facebook e il successivo pentimento al gol del Napoli. Il principale merito del libro di de Giovanni è proprio questo: creare un codice narrativo/identificativo in cui ciascun tifoso, anche non azzurro, può riconoscersi. Utilizzare la Passione per descrivere fatti e affetti, padri e figli, glorie e disfatte. Sentimento e ragione alla partenopea con un occhio alla grande letteratura sudamericana, da Galeano a Soriano. Il tutto condensato nelle immagini che, come un fiume di inarrestabili emozioni, hanno catapultato il pubblico in una specie di nirvana calcistico. Un salto nel passato e un tuffo al cuore. L’album caleidoscopico degli indelebili anni ruggenti che si tramanderanno da qui all’eternità. Parole e immagini, suoni e colori. Un’infinita sinfonia letteraria.

Gianluca Spera, classe 1978. Di professione avvocato da cui trae infinita ispirazione. Scrittore per vocazione e istinto di conservazione. I suoi racconti “Nella tana del topo” e “L’ultima notte dell’anno” sono stati premiati nell’ambito del concorso “Arianna Ziccardi”. Il racconto “Nel ventre del potere” è stato pubblicato all’interno dell’antologia noir “Rosso perfetto-nero perfetto” (edita da Ippiter Edizioni). Autore del romanzo "Delitto di una notte di mezza estate" (Ad est dell'equatore)" Napoletano per affinità, elezione e adozione. Crede che le parole siano l’ultimo baluardo a difesa della libertà e dei diritti. «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare», insegnava Sciascia. E’ giunta l’ora di recuperare linguaggio e ingegno. Prima di cadere nel fondo del pozzo dove non c’è più la verità ma solo la definitiva sottomissione alla tirannia della frivolezza.