Viltà e orgoglio

Condividi su

n questi giorni nel rivedere i vari TG che trasmettevano notizie sulla strage al giornale satirico francese Charlie Hebdo, mi è venuto in mente il termine “vigliaccheria”. Ho sentito l’esigenza di scrivere una mia osservazione su questo termine. Mi sono posto la domanda: come mai i mafiosi venivano chiamati “uomini d’onore” e i camorristi venivano rispettati?. La risposta credo che sia questa: Nel profondo Sud del dopo Unità, essendo stato conquistato e colonizzato dai Savoia, il popolo oltre a rispondere con i “Briganti”, (partigiani di allora) sotto forma di vera e propria guerriglia, si è creata una sottosocietà antigovernativa col nome di mafia con delle regole interne di dignità e giustizia particolare. Esclusivamente perché non si riconosceva l’usurpatore come governo. Prima la mafia non c’era. Alla base di questa “società” v’era l’onore di affrontare il nemico direttamente di persona e regolare i rapporti sociali secondo le proprie regole, senza riconoscere lo stato centrale che era lontano, a nord dell’intero Stivale. La parola “onore”, secondo l’ottica mafiosa non era al di fuori di una certa logica. Così come il “guappo” di quartiere che regolava i rapporti sociali a Napoli.


Il “nemico” si affrontava a viso aperto e si ostentava un certo orgoglio e consequenziale rispetto della plebe. A distanza di anni ad oltre 150’anni dall’unità d’Italia, queste pseudo “regole” non vengono più rispettane ne negli ambienti mafiosi ne camorristici. I bambini e le donne, allora rispettate e tenute lontane da eventuali ritorsioni, ora sono vigliaccamente usati come mezzo di vendetta. Oggi nel mondo globalizzato il concetto è riportato di pari passo nelle lotte “ideologiche” religiose. L’orgoglio di saper affrontare il nemico apertamente è scomparso, non fa più parte di una etica guerriera tipico del mondo cavalleresco di origine medioevale. Di medioevale è rimasto il concetto di vendetta ma non di orgoglio guerriero. L’attaccamento a presunti concetti di santità collegati eufemisticamente a correnti religiose è rimasto e usato come base propulsiva per vendette di rivalsa verso un mondo da loro considerato, a dir poco riprovevole. Le conquiste civili e di libertà sono considerate aberranti. In questo contesto si esalta la “santità” presunta dopo la morte a cui si tende come sacrificio estremo e auspicabile martirio. Ciò che veramente risulta evidente, al di la dell’ideologia religiosa, è solo un comportamento da “vigliacco”. Da qui la “viltà” come mezzo consentito e unanimemente accettato in certi ambiti sociali. Ciò che da sempre era, invece, unanimemente deprecato. I cosiddetti franchi tiratori erano anonimi proprio perché considerati vigliacchi. Oggi, nella concezione contemporanea, è considerata una furbizia spavalda. Non ha sortito uno sviluppo positivo la frase: “il fine giustifica il mezzo”. A cui sono fermamente contrario. L’occidente reagisce come di conseguenza con la violenza contro un nemico invisibile e nulla può se non colpire i singoli individui immolati alla morte. L’errore, secondo me, è quello di non riuscire a immedesimarsi nella cultura del terrorista per capirne le basi ispiratrici e tentare un approccio di dialogo e modificarne le impostazione. Spesso la CIA, in passato è riuscita ad infiltrarsi e a dirigere i movimenti sociali verso una cultura occidentale consumistica-capitalista. I consulenti sociologi, psicologi e “profilers” non riescono a decodificarne il comportamento del terrorista. Il mondo mussulmano è troppo diverso, si richiede, per capirlo, l’abbandono di tutte le convinzioni e conquista civile di secoli. Cosa che difficilmente si riesce a fare, ma si dovrà tentare, ma il dialogo si impone, la violenza non basta contro un nemico invisibile, altrimenti il mondo mussulmano, in numero molto superiore a quello occidentale ci soccomberà e non basterà alcuna violenza o esercito, per debellarlo, essendo come un tarlo inafferrabile e invisibile nel corpo dell’occidente.