Vivere per una madre…

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di Maria Rusolo

La morte è la curva della strada, morire è solo non essere visto.

“Stringeva le gambe al petto, seduta sul pavimento. In casa era tutto buio, lentamente scivolò sino ad assumere la posizione di una bambina nel grembo materno, era l’ultimo legame che si spezzava, non sentiva più nulla, nessun dolore, nessuna gioia, era e non era più. Questo era la morte, l’assenza di ogni capacità di percepire il mondo reale ed irreale, come se il cuore fosse strappato dal petto e morso da un lupo nel cuore della notte, forse si, chissà.

Nulla sarebbe stato come prima, eppure continuava a respirare e le lacrime salate scendevano ancora lungo il viso ininterrottamente da due giorni, senza sapere come fermarle. Era il tempo dell’assenza, ma sapeva che non sarebbe stata più quella che era prima. Sentiva nell’aria l’odore e cercava segni di presenza, segni del passato e del presente. Il qui ed ora non esistevano più, come avrebbe vissuto in futuro, come avrebbe stavolta trovato la forza di alzarsi, vestirsi e lavorare. Sopravvivere, questo le aveva insegnato la madre, comunque vada, qualunque cosa accada, ci sono obblighi e cose da fare. Pulire, sistemare, fare la spesa, lasciare che la vita ci sia.

Le sembrava tutto inutile in quel momento, aveva vissuto per la madre e con la madre tutta la propria esistenza, aveva studiato perché lei ne fosse fiera, aveva modellato il suo corpo per averne l’approvazione, certo in un dato momento si era ribellata, ma lo aveva fatto sempre in silenzio, guardando a quel modello che era parte della propria carne e della propria anima. Chi sono si chiese, chi era, non lo sapeva e forse non aveva la forza di scoprirlo. Forse non era nessuno, quanto di lei era davvero esistito senza quella pesante eredità, senza quel plasmarsi sull’altro, senza la volontà ferrea di scoprire i propri limiti superandoli.

Forse una parte di lei era morta, il telefono continuava a vibrare, ma a lei non interessava, si trovava bene sul pavimento, sentiva il fresco sulla pelle ed aveva abituato gli occhi al buio. Il corpo le faceva male, eppure avrebbe dovuto rimettere in ordine, lei non avrebbe sopportato che lasciasse tutto al caos. Il caos, la pulizia, una vita di contrapposizioni da superare, senza trovare una sintesi, un equilibrio, lei era disarticolata nel corpo e nella mente. Negli ultimi anni però, avevano più volte affrontato i mostri del passato, ma ogni volta quando aveva urlato per avere spiegazioni, la madre aveva pianto per senso di colpa o per fragilità, chissà se comprendeva a pieno a quanto aveva rinunciato per essere la figlia perfetta. Non aveva rimpianti, però non aveva rimuginamenti o rimorsi, le era sembrato che in fondo nonostante non esistesse come essere umano separato fosse stata capace di rimanere in piedi e se lo era fatto bastare.

Ora però come poteva risorgere, come poteva scoprire chi fosse? Le interessava? Alla fine si era addormentata, non sapeva più in che parte della giornata si trovasse, non aveva fame e sete, ma sapeva che doveva sollevarsi ed agire come se lei fosse ancora in quel letto, con il suo profumo di latte, la pelle candida e morbida, le mani sottili e delicate, che negli ultimi anni erano lisce e carezzevoli.

Lei non lo avrebbe voluto, lei voleva fosse forte, fosse capace di lasciare un segno nel mondo, ma come poteva visto che le sembrava tutto inutile. E se l’avesse raggiunta? Non aveva più niente, nessuno che l’avrebbe pianta, o rimpianta, nessuno di cui occuparsi, chissà quando l’avrebbero ritrovata, se qualcuno avrebbe avuto ricordi piacevoli da raccontare. Che cosa siamo dopo la morte di chi amiamo come parte di noi? Possiamo camminare ancora da soli. Ora era solo il momento del dolore e dello sgomento, da non condividere con nessuno, nessuno avrebbe compreso, e non aveva la forza di sentire le solite frasi. Niente però le appariva più sbagliato, forse un giorno sarebbe stata pronta a lasciarla andare, ora voleva solo dormire dalla sua parte del letto e continuare a sentirsi così”

A chiunque si senta dinanzi ad una perdita pieno di dolore ed incapace di reagire, a chiunque abbia paura del passato, ma ancora di più del futuro, ogni sentimento ha il diritto di esistere.

La morte abolisce il presente e il futuro.
Ma il passato dei morti si fa enorme, incommensurabile, pieno di dettagli nuovi.

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.