I GIOVANI E LA GIUSTIZIA: CONVEGNO SULLA LEGALITA’ ALL’ISTITUTO BRANDO

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– di Margherita De Rosa- 

Grande eco ha suscitato il convegno svoltosi presso l’istituto Brando di Casoria lo scorso 29 maggio, evento fortemente voluto dagli studenti liceali delle classi quinte, dalle loro docenti e dalla Dirigente Scolastica, Suor Giocondina Ciervo, fermamente convinti della necessità di testimoniare con coerenza l’ adesione ad una scelta di vita che ponga in primo piano l’onestà, virtù ormai perduta o, ancor peggio,travisata, fraintesa, avvilita dal pressapochismo qualunquistico del nostro tempo. Relatori del convegno la dott.ssa Tina Montinaro, moglie di Antonio Montinaro, capo della scorta di Giovanni Falcone, il professor Alessandro Chiolo ed il dottor Massimiliano Fiore, che ha esposto la sua testimonianza circa il martire F. Bwana Chui, anch’egli strenuo difensore della legalità e vittima di un sistema corrotto e malavitoso. Accolti da studenti entusiasti e commossi, i convenuti hanno assistito ad un video realizzato dai maturandi, in cui si ripercorrevano le ultime fasi della vita del mai fin troppo compianto Giovanni Falcone, fino a giungere alla strage di Capaci. Una studentessa ha poi dato voce a quella che può definirsi una protesta contro l’inerzia della giustizia e, richiamandosi ad Einstein, ella ha dichiarato che la colpevolezza dei più consiste nel non far nulla per cambiare le cose, pur possedendo l’innata capacità di reagire al male, all’iniquità, alla corruzione: <<L’ingiustizia è ormai considerato giusta, i giovani credono che quel che è lo status quo debba essere così: li si prepara alla resa, all’accettazione passiva dello scempio che si compie dinanzi ai loro occhi quotidianamente: allora, Tina Montanaro è l’esempio che tale mentalità può e  deve essere sovvertita! Lei ha fatto del suo dolore lo strumento utile a diffondere quella luce di speranza indispensabile per lottare in nome della vera giustizia. Lei ci insegna a non mollare, a gridare il proprio dissenso, lei, che ha visto suo marito disintegrato dal tritolo, ed è a lei che dobbiamo guardare per avere la stessa forza di credere in un domani diverso dall’oggi, in cui, finalmente, sia di casa la vera giustizia>>.

montinaro_-foto-blogsicilia-640x360Ha preso poi la parola il prof. Chiolo, che non ha nascosto la sua emozione, condizione che sempre l’accompagna da quando, al fianco della dott.ssa Montinaro, nel ricordo di chi ha perso la vita per mano della mafia, testimonia una scelta di vita che vuole condividere con i giovani, con coloro da cui veramente dipende il domani. Egli ha illustrato agli studenti la condizione di chi faceva parte della “Quarta Savona Quindici”, nome in codice con il quale si indicava la scorta del giudice Falcone, ed ha evidenziato che quella era una sorta di vera e propria famiglia, una famiglia formata da ragazzi: << Sì, erano infatti giovanissimi i membri che la costituivano: Antonio aveva 29 anni, Guido 26, Rocco 30: ragazzi che, così come tanti altri, sono diventati ‘martiri della mafia’… se ci si chiede perché tutti fossero così giovani, la risposta è una: avevano deciso da che parte stare. Ora, considerare loro, così come Falcone e Borsellino, degli eroi non è del tutto positivo poichè tale visione della realtà deresponsabilizza ciascuno di noi, in quanto essi finiscono per appartenere ad una categoria eccezionale alla qualche ognuno ha il diritto di sentirsi estraneo. Eppure, questi ragazzi erano assolutamente normali, avevano famiglie ed affetti come tutti i comuni mortali… generalmente noi li ricordiamo il 23 maggio ed il 19 luglio di ogni anno (date, rispettivamente, delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio) ma non consideriamo le conseguenze che quel tritolo ha determinato entrando nella vita e negli affetti di Antonio e dei suoi compagni… Ciascuno di loro, tuttavia, era perfettamente consapevole di ciò che avrebbe rischiato entrando a far parte della scorta di cotanto magistato. Già dopo il primo attentato a Giovanni Falcone, nel 1989, si comprende perfettamente che essere membro della sua scorta è enormemente pericoloso e proprio per questo motivo fu creato un gruppo di agenti che avessero maggior autonomia: essi non venivano scelti dal Ministero, bensì erano volontari e certamente non c’era la fila fuori alla porta di Giovanni Falcone….bisognava avere le idee chiare e, soprattutto, coraggio>>; il relatore ha poi evidenziato che la scelta di Antonio fu dettata anche dalla grande fiducia che egli riponeva in Giovanni Falcone, che considerava l’incarnazione della legalità per eccellenza, la persona di cui ci si poteva realmente fidare: non che egli fosse immune dalla paura, ma dalla vigliaccheria certamente sì, infatti Antonio ammetteva la sua paura ma affermava anche che, al cospetto del pericolo, non sarebbe fuggito: e così è stato!

Il professor Chiolo ha poi dichiarato di aver meglio conosciuto Antonio attraverso i racconti della moglie Tina, essendo egli il docente di uno dei suoi due figli, e di aver compreso che non si trattava di un individuo, bensì di una persona: << esiste una profonda differenza tra i due termini, in quanto il primo indica chi vive per sé, il secondo chi è capace di donarsi agli altri e Antonio era persona a tutti gli effetti, poiché aiutava chiunque fosse in difficoltà, non era un semplice poliziotto ma un vero poliziotto! Era persona anche per il suo aver paura, essendo l’aver paura nient’altro che amore, carità, apertura all’altro, che si teme di perdere perché è per lui che si vive e non per sé stessi…La mafia invece non è costituita da persone, ma da individui, da esseri incapaci di amare, per cui se essa commette una strage non l’avvertirà mai come tale, poiché non è in grado di comprendere l’alterità>>. Antonio, inoltre, in un’intervista, aveva sostenuto la necessità di credere nello Stato, abbandonando la mentalità in base alla quale i problemi si risolvono ricorrendo “allo zio Ciccio di turno”… Incisiva e toccante è stata poi la testimonianza della dott.ssa Montinaro, che non ha esitato a denunciare quanto poteva essere fatto e che invece fu evitato, segno di una precisa volontà di mollare la presa, di lasciare Falcone e la sua scorta ad un destino già scritto ma non per questo inevitabile… Ricorda, con il suo accento napoletano, l’ultimo saluto di Antonio che si reca al lavoro al posto di un suo collega con il quale aveva cambiato il turno; va in caserma e da qui parte in direzione dell’aeroporto. Alle 17.58 Tina riceve la telefonata di un’amica che vuole sapere se Antonio è con lei: la TV era spenta e la donna non aveva appreso della strage di Capaci… si attiva per raccogliere informazioni ma nessuno è in grado di fornirgliele… si porta in questura dove trova una funzionaria all’oscuro di tutto,così come gli altri da lei contattai. In realtà, Tina si spiegherà solo più tardi la totale disinformazione circa l’accaduto, infatti, era saltata in aria la prima macchina, quella dove c’era Antonio, che aveva fatto un volo di trecento metri e di cui non vi era alcuna traccia visibile nei dintorni.. Tina decide allora di recarsi in ospedale, sperando di trovare suo marito: in verità riconosce solo un brandello di vestito verde: quello che rimane del suo uomo… Da quel momento in poi ha inizio il cammino difficile e disperato di una donna e di una madre sola e distrutta dal dolore, ma lei non si arrende, trova la forza di gridare la sua rabbia e il suo legittimo desiderio di giustizia, giustizia che, come TIna amaramente sottolineato, non è stata fatta: <<non è venuta fuori la verità perché si è dato troppo spazio ai cosiddetti “pentiti”, che avranno pure collaborato con lo Stato, ma che restano comunque dei criminali “liberi”… ho avuto forte e chiara l’impressione che si volesse mettere tutto a tacere, perché la verità è scomoda per molti…io invece continuo a pretenderla, non mi interessa la giustizia processuale, io voglio la verità nel rispetto di mio marito e di quei ragazzi che, con coraggio ed onestà, avevano operato una scelta così nobile e rischiosa: essi avevano più volte denunciato la pericolosità di quella specifica missione ma si era deciso che non valeva la pena far innalzare un elicottero quel 23 maggio 1992 per Falcone ed i suoi uomini: in effetti, Falcone, come Borsellino, erano personaggi scomodi, che arrecavano troppo fastidio alla mafia e non solo: in tanti dovrebbero vergognarsi ma ora è tempo di pensare al futuro! >>: ed il futuro per Tina Montinaro è rappresentato dai giovani, da quei ragazzi che hanno la fortuna, oggi, di essere più informati, di sapere fin troppo bene cosa significano parole come mafia e camorra, perché dopo gli eccidi del 1992 si è avuto un risveglio delle coscienze ed in tanti hanno detto basta: << Noi, vecchia generazione, siamo colpevoli di aver fatto finta di niente, facendoci i fatti nostri e scendendo poi in piazza per commemorare: è una cavolata! Voi sapete che le cose possono cambiare e cambiano soprattutto nelle cabine elettorali! Dovete agire secondo coscienza e in nome di tutti coloro che hanno dato la vita per l’onestà. Pensate con le vostre teste, non fatevi condizionare: solo così non morirete ogni giorno… siate diversi da noi, camminate a testa alta! Allontanatevi da chi vi vorrebbe senza cultura, arretrate dalla falsa politica, dall’indifferenza: non avete l’obbligo di essere eroi, ma il dovere di comportarvi onestamente, così ricorderete Falcone e la sua scorta non solo il 23 Maggio ma in giorno della vostra vita!>>: un insegnamento, un monito, una lezione di etica per tutti, quella che Tina Montanaro ha il coraggio di proporre nel nome della giustizia e della legalità e che tutti, probabilmente, dovremmo apprendere con attenzione ed applicare con coerenza, nonostante tutto e tutti.

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