di Gemma Delle Cave
Come scrisse di lui Jacques Prevert “innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni”
Fino al prossimo 23 febbraio 2020, 80 opere del massimo esponente del surrealismo Joan Miró saranno esposte al PAN (Palazzo delle Arti Napoli) in via dei Mille 60. La mostra dal titolo “Joan Miró. Il Linguaggio dei segni” è stata promossa dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, e organizzata dalla Fondazione Serralves di Porto con C.O.R. Creare Organizzare Realizzare.
Il percorso, a cura di Robert Lubar Messeri, professore di storia dell’arte all’Institute of Fine Arts della New York University, e guidato da Francesca Villanti, direttore scientifico C.O.R., è interamente articolato al primo piano del PAN. Si possono ammirare quadri, disegni, sculture, collage e arazzi, tutte opere provenienti dalla collezione di proprietà dello Stato portoghese, che coprono tutta la produzione di Miró che va dal 1924 al 1981.
Nato a Barcellona il 23 aprile 1893, diventa maggiorenne in un momento in cui tutti gli artisti e gli intellettuali catalani vedono nella loro lingua madre uno strumento di coscienza nazionale. Ed ecco perché sviluppa un tipo di “pittura calligrafica”, che da più spazio ai segni e alle linee astratte che a opere raffiguranti la realtà o una sua illusione. Aveva una repulsione verso la ricerca della perfezione nella pittura per la riproduzione della realtà, che dichiarava di voler uccidere e assassinare. Non a caso, frequentava più scrittori e poeti che pittori.
In qualche suo capolavoro, tuttavia, si riesce a percepire un certo avvicinamento a figure più realistiche, come, per esempio, in Personnage, una scultura di bronzo dipinto o in Personnage et étoiles dans la nuit, un mix di gouache, acquerello, pastello e collage su carta nera. In entrambi, è possibile distinguere delle sagome aventi un disegno ben preciso di un volto. Forse erano i rari momenti in cui riconsiderava la realtà più positivamente.
Il suo intento era paragonare la pittura ad un linguaggio scritto, scorporando tutto in oggetti dalle forme semplici ed essenziali. Inizialmente, la sua produzione era fauvista, dai colori intrepidi, poi negli anni parigini dadaista. Il suo stile rimaneva però sempre molto geometrico, come quello dei cubisti tra i quali Pablo Picasso, che ha avuto una fortissima influenza su di lui.
Verso gli anni 20 ha sviluppato in pieno tutto il suo potenziale astratto e surrealista. La realtà per lui era il punto di partenza, da cui cominciare a sconvolgere tutto in sagome sottili o spesse dai colori accessi e soggetti onirici, creando un vocabolario espressivo.
Joan Miró sperimentava di tutto per dipingere. Ogni materiale aveva dignità per poter diventare opera d’arte secondo lui, come pezzi di ferro, litografie, scenografie, sacchi di iuta, cartoni, sabbia su masonite, acqueforti e pitture su carta catramata e vetro. In La Publicidad aggiunge anche una parte di quotidiano.
“Se vi è qualcosa di umoristico nella mia pittura non è il risultato di una ricerca cosciente. Questo humour deriva forse dal bisogno di sfuggire al lato tragico del mio temperamento. È una reazione, ma involontaria. Quel che invece è voluto in me, è la tensione dello spirito. Ma è essenziale, a mio avviso, non provocarla con mezzi chimici, come il bere o la droga. L’atmosfera propizia a questa tensione la scopro nella poesia, nella musica, nell’architettura”
Tra le tecniche artistiche più innovative troviamo il frottage (sfregamento), il grattage (raschiamento) e il dripping (sgocciolamento di colore, tipico dell’Action Painting). Inoltre, durante la primavera del 73, collabora con il tessitore Joseph Royo, realizzando opere a metà strada tra pittura e scultura. Famose sono le cinque Tele Bruciate, nate da questa collaborazione. In un primo momento, ha tagliato la superficie delle tele con un coltello, poi ha applicato grandi quantità di colore su vare aree. Infine, ha steso i pigmenti su tutta la superficie della tela con l’aiuto di una grande fiaccola, impiegata per carbonizzare intere parti delle opere fino a bucarle e rendere visibile i telai.
Ciò che voleva trasmettere a chi osservava la sua arte era di osare e di non sottostare alle convenzioni, di provare a cercare un legame più intimo e personale con ciò che ci circonda e sperimentare sempre. “Irrigare come si fa con l’insalata” diceva. Inoltre, in un periodo in cui si sta facendo sempre più attenzione all’ambiente e al rispetto per il nostro pianeta, Joan Miró rappresenta un vero e proprio maestro del riciclo da prendere come modello, non solo in campo artistico. Lui stesso spiegava cosa provava: “Mi sento attratto da una forza magnetica verso un oggetto, senza la minima premeditazione, poi un altro mi attrae che si unisce al primo e il loro contatto provoca uno shock poetico”.