I giorni dell’ombra di Sara Bilotti: una Bellezza necessaria

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di Domenica De Falco

Alcune storie ti entrano dentro più di altre, non necessariamente (o non soltanto) per quanto raccontano, ma per la forza e l’urgente necessità con cui lo fanno, per la vita e il sangue che senti scorrere in ogni pagina, attraversare e scavare ogni anfratto del testo, fino a farti vacillare.

Sara Bilotti

La notte in cui ho terminato I giorni dell’ombra sono stata male, fisicamente male. Voglio iniziare da qui, dalle sensazioni vive che questo romanzo mi ha lasciato nel corpo. Così come Vittoria, la protagonista, ho avuto brividi di freddo e un’angoscia che non riuscivo a spiegarmi. Avevo scritto all’autrice qualche giorno prima, quando ero solo all’inizio della lettura, per manifestarle le mie impressioni sul  libro: fin dall’inizio ero rimasta colpita dalla “presenza” dei personaggi, dal loro prendere corpo nella storia, dal modo in cui occupavano ossessivamente lo spazio e si impadronivano selvaggiamente del lettore. Con la sua abituale gentilezza e solerzia, Sara Bilotti mi ha risposto dopo pochi minuti, ringraziandomi per aver rimarcato un aspetto che le stava molto a cuore, e sottolineando quanto i personaggi, prima ancora di formalizzarsi come tali, la abitavano per tempo, condizionandone le giornate.

Avevo già letto qualche recensione qua e là, ma l’interesse, la curiosità, il desiderio di andare avanti mi hanno catturata in un crescendo vorticoso di emozioni fortissime e, a certi livelli, difficili da catalogare.

Non direi che si tratta di un romanzo bello nell’accezione comune del termine, piuttosto oserei definirlo Sublime nella sapientissima e dosatissima mistura che offre di reale e onirico, in quella capacità di entrare sotto la pelle e graffiare le ossa, in uno stile che, pur nella sua ricercatezza e specialissima firma (riconoscerei ora Sara Bilotti anche se non leggessi il suo nome in copertina!), non diventa mai pura forma, contenitore vuoto, trionfo estetico fine a sé stesso. E una storia che, per diversi aspetti, non finisce, un uroboro. Offre tutte le sfaccettature del male ma non emette mai giudizi perentori né formula sentenze buoniste. Non ci indica la strada giusta, non offre soluzioni semplici e, meno che mai, ci rassicura nelle nostre esistenze comode. Ci interroga (ed è la sua Bellezza) sull’Amore come cura e nel contempo dannazione; di ciascun evento, personaggio, luogo, scandaglia la molteplice dimensione esistenziale rovesciandolo, analizzandolo, “scuoiandolo”, con l’intenzione di dissotterrare e mettere sotto gli occhi i cadaveri rimossi delle nostre coscienze civilizzate.

L’esistenza imprigionata che riconosce e trova il coraggio di definire la stessa protagonista dérangée del romanzo appare attraversata da costanti tentativi di fuga e aspirazioni verso la libertà :

A ogni anelito di libertà si contrapponeva un peso minuscolo, ma concentrato, che mi gravava sugli abiti e mi tirava i capelli fino a riportarmi al mio posto ,

domande la cui risposta confusa e contraddittoria fa emergere nuove e imprevedibili scoperte su sé stessa e sull’universo ristretto e claustrofobico nel quale la sua esistenza si snoda:

A volte mi sembrava di essere stata addirittura felice, quando ero bambina, altre volte ricordavo l’infanzia come una corsa continua sul bordo di un precipizio, sull’orlo di un’inquietudine che non mi dava tregua.

Un palazzo antico di Napoli costituisce il luogo quasi esclusivo del testo (questa dimensione spaziale pura, essenziale contribuisce significativamente ad approfondire il rapidissimo incedere degli eventi, da un certo punto in poi della storia), e all’interno di esso si muovono vari personaggi, ognuno segnato da una difficile storia: da Daniel, lo scrittore di successo che custodisce dentro di sé un’infanzia orfana di amore, e che agli occhi di Vittoria sembra planare senza gravità su cose e persone, a Marco, soffocato dal legame morboso con Clara, al quale con un atto di forza, deciderà poi di sottrarsi, a Michele, padre padrone che conosce solo l’amore violento (“rabbia e amore mischiati al punto di essere diventati inseparabili, quasi fosse ormai impossibile distinguere un abbraccio da un pugno”), a Mirella, moglie e madre sottomessa, abituata a tacere e che ha imparato ad addormentare la coscienza da troppo tempo, a Maria, fragilissima sorella di Vittoria e anello di congiunzione del misterioso puzzle da cui origina la trama.

Tutto muove dalla scomparsa di Lisa, la bellissima amica del cuore di Vittoria, che costituirà il motore della complessa scelta di libertà della protagonista. Pian piano infatti, per scoprire dove sia finita questa ragazza “dal cuor leggero” che faceva innamorare di sé tutti gli uomini, Vittoria sarà costretta a forzare la sua prigione e a uscire di casa, attraversando la città e affrontando la sua agorafobia, e da un certo momento in poi, il suo si tramuterà un percorso obbligato, fatto di rabbia e sangue.

Poiché, come lei stessa riconosce, “la cosa difficile è scegliere, e il resto viene da sé”.

Non un solo aspetto della storia dell’ultimo romanzo di Sara Bilotti è trascurato, ogni riga, ogni parola, ogni sfumatura di significato sono al loro posto in una maniera che

non saprebbe essere più lineare, più adeguata, più incisiva, più assolutamente necessaria.

Ho avuto l’impressione, come credo molti lettori a un certo punto, di essermi sviata e persa in questa vicenda che lascia pieni di suspense, di fiato sospeso, di conclusioni successivamente capovolte. Allora mi sono fatta cullare dalla Bellezza, ho preteso la Cura, mi sono riscaldata con queste pagine che mi hanno accompagnata per 4 giorni, in una lettura che ho voluto fortemente e che mi sono strappata rubando ogni attimo libero, pretendendo l’Emozione che arriva come un pugno nello stomaco, ma che non ti delude.

Perché questo è. Un romanzo denso, profondo, vero, che ha gli occhi scuri, che ti attraversano e ti trafiggono, che ti costringono a guardare laddove non vorresti, ma che poi sanno anche accarezzarti e perdonarti. Perché gli occhi di chi ha coraggio non possono essere che belli. Come questo libro. Come Sara…

 

Domenica De Falco insegna Lingua e Civiltà Francese in un liceo della provincia di Napoli. Ha studiato a “L’Orientale” di Napoli e successivamente ha vissuto a Parigi dove ha conseguito il Dottorato in “Langues et Civilisation Françaises” presso l’Università de la Sorbonne Nouvelle. Docente a contratto presso l’ateneo Federico II di Napoli dal 2006 al 2011, si è specializzata nella letteratura francese dell’Ottocento, e in particolare sul trattamento dei personaggi femminili nel romanzo naturalista. Ha pubblicato diversi articoli su riviste italiane e straniere, e un libro dal titolo “La Femme et les personnages féminins chez les Goncourt”, presso la casa editrice francese Champion, nel 2012. Tra le sue passioni, oltre alla lettura, la corsa e la cucina. Ama al di sopra di tutto due piccole pesti, dal nome di Chiara e Francesco