Il tocco di classe di Mazzoleni

Condividi su

di Pasquale Di Fenzo

Ovvero: Mamma Ciccio mi tocca! Toccami Ciccio che mamma non c’è.

Al risveglio avevamo appena tirato un sospiro di sollievo apprendendo che i resti del razzo pezzotto cinese non erano caduti nel canale di Procida, come qualcuno aveva previsto, ma si erano fortunatamente dispersi nei meandri del lontano Oceano Indiano.

Ormai in Italia non sono solo i virologi a non capirne più una mazza di niente. All’anema d’a svista! Roba che nemmeno Mazzoleni in sala VAR poteva fare meglio .Ci eravamo illusi che il “pericolo cinese”, fosse passato. E invece si è rifatto vivo il pericolo Pechinese. Un pericolo vagante che incombe sul calcio italiano che, a differenza della cometa di Halley, torna ad intervalli ravvicinati, troppo ravvicinati, a minacciare le popolazioni autoctone campane: Paolo Silvio Mazzoleni da Bergamo. Una vera calamità. Una minaccia continua. Incombente. Costante.

Di una regolarità impressionante. Dopo aver provocato danni a Napoli, la piaga Mazzoleni si è abbattuta sul Sannio. Io poi non gliene faccio nemmeno una eccessiva colpa. “Io non ce l’ho con te, ce l’ho con quello che ti sta seduto vicino e non ti butta giù dal loggione”. Lo disse Petrolini a uno spettatore che con le sue intemperanze disturbava continuamente lo spettacolo in teatro. E Mazzoleni ormai “disturba” la regolarità del calcio italiano da troppo tempo. Ci eravamo illusi, dopo che aveva appeso il fischietto al chiodo, che le sciagure fossero finite. Pia illusione.

Esce dalla porta e rientra dalla finestra del VAR. Che colpa ne ha lui se qualcuno pensa di poterlo ancora utilizzare in un compito così delicato? Perché dare la colpa al caffè che in quella tazza non c’è mai stato? Il caffè mazzoleniano ormai è rancido, sape ‘e scarrafone, peggio di quello di Donna Concetta. Però continuano a servircelo. E ad avvelenarci. Una vera ciofeca. Con lui sembra che non valgano nemmeno le regole dell’alternanza: in un periodo brevissimo è stato designato per ben quattro volte per le partite del Napoli.

Tutte partite decisive e tutte partite in cui c’erano state delle polemiche sanguinose. Il buon senso avrebbe richiesto quantomeno un periodo di riposo. Ma chiedere buon senso ai designatori arbitrali è come chiedere al dr Lecter di diventare vegetariano. La settimana scorsa, eccolo puntuale, come una cartella Equitalia, atterrare allo stadio Maradona di Napoli. Un battito di ali di farfalla nella foresta amazzonica, si trasformava in una “rèfola” di caldo libeccio che abbatteva un difensore intento a fare “pere e pere” con se stesso, mentre il ciclone Osimhen si stava per abbattere sul portiere del Cagliari.

Per l’arbitro Fabbri, appostato a distanza astronomica, c’era un tocco di Osimhen sulla spalla del difensore, che nel frattempo, non poteva far altro che rotolarsi per le terre per cercare di ingannare l’arbitro. E ci riusciva alla grande!, Vabbè, il Var metterà tutto a posto! Col cavolo! Tornava di moda la domanda che Insigne si era già posto a Sassuolo: chi c’è al VAR? Domanda insidiosa. Forse ironica. Certamente retorica. Il responso era più che scontato. “Il VAR non ha il compito, né la possibilità di valutare l’intensità della spinta, che spetta solo e soltanto all’arbitro di campo” Avevano detto quelli che parlano bene, quelli che dicono che alla fine gli errori si compensano.

Col ri-cavolo! Già a Sassuolo, dove, usando forse i potenti telescopi della NASA, Mazzoleni era riuscito a stabilire che al momento del lancio, Insigne si trovasse in posizione di fuori gioco. Senza però mostrarci il momento in cui il lancio era partito dalla rampa di Cape Piotr. Ma il buon senso dei designatori di cui si parlava poc’anzi, ha toccato vette eccelse, quando Mazzoleni, dopo una settimana di polemiche, è stato designato ancora per una partita del Cagliari. Evidentemente sarebbe stato troppo mandarlo di nuovo sulla strada del Napoli. Ma questa volta, quello che era stato giudicato un tocco determinante per annullare il gol del raddoppio del Napoli, che probabilmente avrebbe chiuso non solo la partita, ma pure la corsa alla qualificazione Champions, a Benevento è stato giudicato con molta più magnanimità: niente fallo.

Revocato il rigore così come erano stati revocati il gol di Insigne e quello di Osimhen. Il Mazzoleni ha decretato che il tocco del difensore, che non si può mettere in dubbio, fosse però ininfluente. Ma non si era detto che il VAR non può e non deve giudicare l’intensità del tocco? Quello spetta all’arbitro di campo, che aveva già decretato il rigore. Dire che questa gente rappresenta l’incarnazione della contraddizione è poco.

E se un gentiluomo napoletano, casualmente presidente del Benevento, perde le staffe nel modo in cui tutta Italia ha visto, e che tutto il mondo avrà sicuramente occasione di vedere, una qualche ragione dovrà pur esserci. In attesa che un altro gentiluomo di estrazione napoletana ma di comportamenti ormai capitolini, faccia sentire anche lui la sua voce. Mazzoleni va fermato immediatamente, Punto.

Chi non si esprime in tal senso diventa automaticamente complice. Troppo facile starsene buoni. Troppo comodo starsene zitti, in attesa degli eventi e che la tempesta, che ormai non è più quella provocata da un battito d’ali nella lontana Amazzonia, ma un vero e proprio ciclone, passi e tutto ritorni nella normalità. Nella “loro” normalità, naturalmente. Ogni riferimento anche alla vicenda Eurolega, è puramente non casuale.

Pasquale Di Fenzo, PDF per gli amici, tifoso di Napoli prima che del Napoli. Non lesina critiche a Napoli e al Napoli, ma va “in freva” se qualcuno critica Napoli e il Napoli. Pensa di scrivere, ma il più delle volte sbarèa. L’obiettività è la sua dote migliore. Se il Napoli perde è colpa dell’arbitro. O della sfortuna. Sempre. Se vince lo ha meritato. Ha fatto sua una frase di Vujadin Boskov, apportando però una piccola aggiunta: “è rigore quando arbitro fischia, a favore del Napoli”. E’ ossessionato da Michu che, solo davanti alla porta del Bilbao passa la palla ad Hamsik invece di tirare in porta. Si sveglia di notte in un bagno di sudore gridando “Tira! Tira!”.