Insignis tota cantabitur urbe

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C’è un leader in campo e riconosciuto dai compagni, incompreso da frotte di ignoranti da azione cattolica concentrati su capelli gialli, sui “deve impegnarsi di più”, sulla cadenza un po’ tamarra, che non si applicano su palle recuperate, transizioni e cuciture, sui quattordici gol in diciannove partite, quelli per i quali oggi siamo ancora in corsa per qualcosa.

Quanti cavernicoli del pallone resi muti, afasici, aglottidi, quanti trogloditi della penna virtuale o cartacea che provano ad autopromuoversi col pallone senza saperne un’acca, senza mai concedersi il lusso di un biglietto di andata divano-stadio a/r, quanti cafoni che solo cafone te sanno chiammà, ma quello è livore, non tifo.

Ma sì, Muccusiello mio, insieme ad altri, t’aggio scoperto ‘nu poco pure io.

Già quando eri quella specie di figura mitologica, metà calciatore e metà guaglione d’o bar, un po’ guappetiello dei giardinetti, con i pallonetti presuntuosi, con lo spregio sistematico dell’opzione di scarico, con la ricerca ostinata dell’effetto, passando per il Cammino di Santiago, l’apprendimento fiaccante e faticoso della copertura incessante, mattanza di gambe e cervello, che in una prima fase ti ha tolto lucidità e che per la squadra è stato spesso oro colato, in quegli ottanta metri coperti come nessun attaccante in Italia e forse fuori.

Ma queste Forche Caudine ti hanno plasmato: straordinaria maturazione in termini di formazione del carattere, di disponibilità al sacrificio, di incremento meramente fisico dell’efficienza della gamba, e fu così che Il guappetto presuntuoso con rasatura di periferia è andato trasformandosi, ma da tre anni, non da uno, in atleta completo, in giocatore semiuniversale.

Non da oggi, ma oggi tutto il mondo lo sa, Lorenzo Insigne è il centro di un progetto meraviglioso.

Insignis tota cantabitur urbe, come dice il Poeta.

 

Enrico Ariemma Docente di Lingua e Letteratura latina presso l’Università di Salerno. Uomo di inverni miti e di estati di passione, malato di Napoli e di filologia, in quale ordine non saprebbe dire. Chirurgo di testi per vocazione antica e per impegno accademico, prova con francescana ostinazione a educare alla Bellezza, dinanzi ai cui inattesi impercettibili cristalli si stupisce e si commuove. Per questo detesta con pervicace ostinazione il brutto, il crasso, il banale, il volgare. Stanziale da quarant’anni al San Paolo, legge, scrive, insegna, cavalca una moto, inforca gli sci, va per mare, vagabonda per mostre, viaggia per le leghe del pensiero e per le strade del mondo. Ama.