Lo stupro di Palermo

Condividi su

di Giosuè Di Palo

Sono stati definiti bestie, animali, mele marce. 

É stato augurato loro di ricevere lo stesso trattamento inflitto alla giovane ragazza, ma in carcere, per capire cosa significhi subire uno stupro.

La scia mediatica di odio che si sta riversando nei confronti dei ragazzi dello “stupro di Palermo” segue, prevedibilmente, il sentire di pancia, l’istinto più naturale dell’uomo: il giustizialismo. 

Non esiste più la fiducia nella magistratura, ma nella vendetta. 

Non c’è più verdetto, ma violenza.

Violenza generata e violenza ricevuta. 

Sotto gli ombrelloni mamme, padri, nonni, figli parlano del caso di Palermo, etichettando il tutto come deviazione, orrore, qualcosa di molto lontano dalle loro vite. 

Eppure sono ragazzi, giovanissimi, non fratelli, figli, nipoti nostri, ma pur sempre figli di qualcuno.

E quel qualcuno oggi dovrà fare i conti con quanto accaduto. 

I figli non sono mai lo specchio dei genitori, ma ne assorbono come spugne alcune caratteristiche, modi di vedere la realtà, l’educazione. 

Ma allora se questi ragazzi sono il riflesso del modo di pensare, di educare, di vivere della collettività, sono sempre e solo loro i “mostri di Palermo”?  

Siamo figli di un’educazione sbagliata, spesso assente,  permissiva e mai troppo rigida. 

Siamo immersi da tempo immemore in una cultura patriarcale che vede nella sopraffazione l’indice della vittoria. 

Una società che riconosce la violenza di genere solo quando porta al femminicidio, mai prima; Mai a monte.

Bisogna cambiare la prospettiva. 

Parlare di sesso e di educazione sentimentale nelle scuole, sdoganarne i taboo.  

Ricostruire le fondamenta di una nuova società partendo da coloro che, quella società, la vivranno in prima persona: i giovani delle future generazioni. 

Ascoltare i figli, i loro bisogni ed il loro sentire, analizzarli, chiedere loro come si sentono, come passano le giornate. 

E poi bisogna dare il giusto peso alle parole, confidare sempre e comunque nel ruolo educativo delle carceri. Soprattutto se si tratta di ragazzi giovani. 

Il che non significa giustificare o minimizzare l’accaduto, anzi, ma comprendere che punire solamente non porta a nulla se non ad un vacuo soddisfacimento di un sentimento di vendetta che nulla ha a che vedere con il reale senso di giustizia. 

Sperando e confidando che questo non sia l’ennesimo “argomento jolly” da cacciare in spiaggia quando si é finito di discutere del cambiamento climatico e di come “alla fine Greta Thunberg non aveva poi così torto”. 

La mia maestra alle Elementari diceva sempre la solita frase che a ogni ragazzo, un po’ svogliato e con la testa già proiettata al dopo, si dice: “suo figlio è intelligente, ma non si applica”. Ne ho fatto uno stile di vita. Studente di giurisprudenza presso la Federico II e di recitazione cinematografica in CinemaFiction. Appassionato di scrittura e di cinema. Scrivo opinioni, non richieste, su tutto ciò che a mio avviso merita di essere raccontato e discusso. Perché nella vita ho imparato che è sempre meglio avere un opinione che subire passivamente il corso delle cose.