Quattro grandi artisti prematuramente scomparsi: Kurt Cobain

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di Mario Aiello

Torna la rubrica che ci vede impegnati a conoscere alcune delle personalità musicali più influenti nella storia contemporanea. Almeno per quanto concerne la percezione di massa che, da pubblico, abbiamo assorbito da questi individui. Lasciamoci alle spalle la rivoluzione sonora di Jimi Hendrix, nonché i virtuosismi e le velleità solistiche. Passiamo dagli anni sessanta – anche se la suggestione hendrixiana sarà vissuta e intesa principalmente nelle due decadi successive – direttamente agli anni novanta: è il momento del Grunge. È il momento di Kurt Cobain.

Kurt Cobain e i Nirvana: non la migliore declinazione del Grunge, ma senza ombra di dubbio la più potente ed espressiva.

Cerchiamo di soddisfare rapidamente la classica trafila del “chi, quando e perché”. Kurt Cobain nasce ad Aberdeen, nello stato di Washington il 20 Febbraio 1967. Aberdeen, a poco più di centocinquanta chilometri da Seattle. La stessa Seattle che ha dato i natali a Jimi Hendrix e che sarà culla di vita, nonché feretro allegorico, per Kurt Cobain. Come anticipato nell’appuntamento precedente, molti cerchi ideologici si aprono e chiudono al solo citare la grande metropoli negli States dell’ovest. Seattle sarà per sempre ricordata come capitale del Grunge, avendo offerto e continuando ad offrire una patria a band quali Soundgarden, Nirvana, Pearl Jam e Foo Fighters. Giusto per citarne alcune.

I Nirvana sono tra i gruppi musicali più conosciuti al mondo. Non per sentito dire, non per sensazione, lo confermano i numeri: circa settantacinque milioni di dischi venduti; tour andati sold out con mesi e mesi di anticipo; una fan base di dimensioni spropositate che persiste tutt’oggi. Cifre da capogiro, tanto da far tremare il monopolio Metal che dagli anni ottanta e fino a quel momento stava imperando sul mercato discografico nella sotto categoria “Rock” e affini. Ma nulla poté rallentarne l’ascesa. I Nirvana hanno dato alla luce tre album in studio. Tre, come quelli di Jimi Hendrix. Cobain, Novolesic e Dave Grohl hanno fatto conoscere il Grunge in ogni angolo terracqueo. Acclamati più di altri pionieri del genere, nonostante non avessero le doti tecniche dei colleghi meno seguiti. La chiave di tutto ciò si trova nella liriche di Kurt Cobain, i suoi testi hanno dato voce a migliaia di ragazzi. Le sue canzoni furono megafono per gridare rabbia e frustrazione condivise da milioni persone provenienti da culture e società molto diverse tra loro. La generazione X aveva eletto il suo miglior rappresentante senza che egli fosse d’accordo. Questo, assieme ad altri meccanismi arrugginiti, sarà la vibrazione di diapason che porterà Il musicista all’insano gesto nel 1994.

Quando è impossibile imbrigliare con ordine didattico i contenuti tematici della nascente Generazione X, ecco che il Grunge divampa con forza e disordine sul panorama musicale di inizio anni novanta.

Questo è ciò che ci dice la storia, ma chi l’ha scritta senza risparmiare dettagli è stato Kurt Cobain. Eccessivo? No, affatto. Scopriremo che non è un’esagerazione. In meno di dieci anni di attività Kurt Cobain ha dettato una nuova linea culturale, più che squisitamente musicale, andando a sollecitare i sentimenti meno raccontati di una generazione abbandonata a se stessa. Ne divenne il primo volto, la prima firma e soprattutto non voluto portavoce.

I maggiori meriti di Kurt Cobain sono di tipo ideologico. Lui stesso ha più volte rifiutato l’appellativo di Rock star e tutto ciò che ne è derivato. L’inno di Smells Like Ten Spirit echeggia imperterrito da trent’anni e quel “load up on guns, bring your friends. It’s fun to lose and to pretend” è la chiave di volta di tutta “filosofia” firmata da Cobain. Almeno per quanto riguarda il risvolto non intimo e privato, dal quale invece verranno fuori veri e propri manifesti malinconici e deviati.

Come fare ad esprimere con le note questi rigurgiti sociali e personali? Anche qui ritroviamo una sorta di power-trio. Ma stavolta la formazione a tre non serve ad esaltare le doti tecniche dei suoi componenti, bensì a non trattenere in alcun modo la forma grezza e spuria della composizione sonora. Il desiderio di evitare qualsiasi orpello e regolamentazione di sorta funziona così: chitarre distorte, sporche, alternate ad arpeggi puliti e candidi. Cambi repentini che ne enfatizzano le dinamiche, riprese al meglio dall’interpretazione ritmica della batteria, incazzata e nervosa. Meno incisivo il basso, relegato spesso a mera presenza. Eppure tutto fa brodo. Un brodo non innovativo in senso assoluto (si ricordi la forma espressiva del Punk storico) ma che ha saputo insinuarsi in una piccola crepa sul muro del mercato discografico e riuscire a distruggerlo da dentro. Facendo leva non sulle vendite (pur incredibili) ma sulla voglia di ribellione.

Bleach. Nevermind. In Utero. Tutto il resto è noia.

Sui tre LP in studio ruota ogni pensiero critico immaginabile. Bleach, dell’ottantanove, ha fatto da apripista. Poco recepito dal pubblico sulle prime, nonostante lo zoccolo duro dei fan di vecchia data, ha saputo ritagliarsi un notevole spazio in seguito godendo, nel frattempo, di una buona critica di settore. Blew, la cover Love Buzz e Negative Creep sono i singoli che hanno trainato l’intera selezione. Insofferenza, delusione e lontani impulsi suicidi permeano la coltre negativista (mi sia concesso il termine) che caratterizza le undici tracce dell’album. Per dovere di cronaca, Dave Grohl si unirà ai Nirvana solo l’anno successivo.

Per certi versi Cobain può sembrare un disco rotto, condannato a ripetersi a causa di un malfunzionamento o un difetto. Tuttavia col successivo Nevermind, anno 1991, ha dimostrato che da sentimenti e percezioni simili nascono infinite derivazioni. Probabilmente stava solo provando a manifestare la propria sofferenza con ogni mezzo a lui congeniale, ma questo ha fatto sì che in tantissimi si siano immedesimati, andando ad indossare le marionette che l’artista descriveva nei suoi pezzi.

Detto del successo fragoroso di Smells Like Teen Spirit, divenuta una delle canzoni più suonate al mondo dai ragazzi di ogni età, soprattutto per chi si avvicina allo studio della chitarra, la vena creativa di Cobain ha saputo partorire ben altri successi: Come As You Are, Lithium e In Bloom i più noti. Quest’ultima ne rappresenta il sacro graal della selezione. Istantanea diffusa nella cultura di massa in rappresentazione del Grunge anni novanta, assieme al velato sarcasmo manifestato nel video ufficiale, in contrapposizione alle parole pronunciate che ne sottolineano decadenza e ossimorici significati nascosti.

In Utero, 1993, è invece il prodotto della maturazione artistica. Non sempre coincidente con l’apice della parabola di gradimento. Paradossalmente il successo insperato, inatteso e immenso del precedente lavoro discografico ne ha minato la riuscita, in senso lato. In Utero soffre il boom commerciale di Nevermind e per questo riuscire ad apprezzarne le evidenti qualità diventa un processo per pochi attenti ascoltatori. Il climax si raggiunge con All Apologies. Col senno del poi, quasi un addio precostituito.

La morte di Kurt Cobain, la fine dei Nirvana e l’estinzione del Grunge per come venne fino a quel momento concepito.

Kurt Cobain viene trovato senza vita l’8 Aprile 1994, in un ambiente nei pressi del garage della sua abitazione. Motivo della morte un colpo di fucile alla testa, auto inflitto, probabilmente risalente a due o tre giorni prima del ritrovamento.

Il mancino Kurt si è tolto la vita. Da sempre inseguito dalla forte depressione alimentata da un’infanzia difficile, un’esistenza sotto i riflettori mal digerita e mai richiesta. Anche per lui l’abuso di droghe pesanti ha distrutto tutto ciò che di buono aveva saputo difendere, non senza sofferenza e sforzi oltre le sue forze ridimensionate. La piccola spinta che gli ha fatto perdere il già precario equilibrio psicologico. Si spegne a ventisette anni una persona fragile, afflitta dalla costante sensazione di non aver dato al suo pubblico la giusta chiave di lettura per la sua musica. Distrutto dal successo commerciale che ha sempre rigettato, pensando che le sue composizioni vivessero un’innaturale pomposità che non gli apparteneva.

Kurt Cobain lascia al mondo la declinazione più vera del genere Grunge, firmandone passaggi chiave sia in termini storici che musicali. Il Grunge muterà fortemente negli anni a venire, tuttavia la concezione “popolare” di cui Cobain si è fatto suo malgrado portavoce è quella che si avvicina più ad una sorta di movimento sociale. Ed è ciò che davvero resta del termine “grunge”. Ieri come oggi. Firmato Kurt Cobain,

 

Mi chiamo Mario Aiello e sono un giornalista pubblicista. "Musicante" e "scribacchino" per passione, perennemente soggiogato dal richamo dell'arte in senso lato. Da diversi anni scrivo articoli di approfondimento nel campo degli spettacoli, della musica e della cultura più in generale. L'altra faccia della medaglia è invece dedita all'analisi politica, oltre che alla cronaca di attualità e costume. Insomma, un pastrocchio.