Una stanza di compensazione per la fine delle ferie

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di Maria Rusolo

Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione. Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. E a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato. La vittima d’una ingiustizia che non t’aspettavi, d’un fallimento che non meritavi. Ti senti anche offeso, ridicolo, sicché a volte cerchi la vendetta. Scelta che può dare un po’ di sollievo, ammettiamolo, ma che di rado s’accompagna alla gioia e che spesso costa più del perdono.”

Diciamolo chiaramente settembre è il mese della resa dei conti per chi vive in qualche modo una unione più o meno stabile, tutti i nodi vengono al pettine, forse perché l’estate porta con se la divagazione, lo struscio frenetico, i corpi nudi stravolti dal sole. Insomma la fine delle vacanze conduce ad un punto di non ritorno, ci si guarda, più o meno, e spesso non ci si riconosce più in chi abbiamo dinanzi.

Si ritorna alla routine dopo aver rincorso bambini, palle, palline e palloni, e ci si chiede se sia possibile andare avanti ancora insieme per un altro lungo inverno. Chi fa l’avvocato come me vi potrà confermare che è in questo mese sono numerosissime le coppie che decidono di separarsi e se tanto mi da tanto la questione riguarda anche le altre relazioni sentimentali, ufficiali ed ufficiose, si piega il proprio cuore lo si mette in tasca e si pensa a come riorganizzarsi la vita. Sia che si scelga una nuova strada, sia che si subisca un cambio di rotta, la delusione ed il dolore sono devastanti.

Nulla è facile, per tutta una serie di fattori, spiccatamente pratici e di ordinaria amministrazione, e di ordine umano, affettivo. Quando si vive un amore, un percorso, lo si fa investendo tutto se stesso/a, nella speranza di raggiungere una qualche meta, di costruire una strada da percorrere in due, ecco, meglio precisarlo, qui scrivo del legame tra due esseri umani, indipendentemente dalla presenza di figli, due compagni, due anime e due corpi, che una volta miravano a costruire la perfezione, la mela del mito romantico, e che finiscono per farsi a pezzi, a volte anche senza avere il benché minimo riguardo della sfera emotiva dell’altro/a. I tramonti, i primi baci, i sogni condivisi, le notti passate abbracciati anche con quaranta gradi, i regali, la musica , i libri, i sospiri ed i sussurri, tutto svanisce, e non resta che l’amarezza di un The end alla fine di una pellicola sbiadita in Tv.

Si fa fatica ad accettare che i sentimenti umani hanno albe e tramonti, e che nella vita tutto è mutevole, non mi si fraintenda c’è chi con maturità sa anche accettare il cambiamento dei colori, e con impegno sa generare una nuova tela che ospiti una nuova immagine, ma la velocità dei tempi, le occasioni, il desiderio di essere sempre innamorati come il primo giorno generano una sorta di bulimia dei sentimenti, per cui a volte, è più facile scappare che sedersi, piangere, strapparsi i capelli ed affrontarsi a viso aperto, cercando di salvare il salvabile.

Quello che voglio dire è che non si deve stare in una relazione per forza, o perché la società, la famiglia, ce lo impone, è coraggioso chi mette fine ad un rapporto tossico, che brucia la propria essenza, che annienta la propria voglia di vivere, ma e qui viene il ma, dopo tanti anni di professione, di ascolto, di attenzione ed anche di accoglienza, mi tocca constatare che si fugge troppo velocemente convinti che le ali di cera ci consentano di arrivare lontano senza essere bruciati dal sole. Il dolore andrebbe vissuto ed invece si pensa a voltare pagina come se si stesse sfogliando una rivista di gossip, si cercano stratagemmi per assolversi, spariscono le virtù e restano le debolezze, i vizi, i difetti, le paure, si getta subito il cuore oltre l’ostacolo senza darsi la pena ed il tempo di imparare nuovamente a respirare da soli. Questa è la parola chiave, solitudine!

Si, occorrerebbe una stanza di compensazione nella quale nascondersi per un po’, leccarsi le ferite, rigenerarsi, e riconoscersi per se stessi, come individui, come nuovi esseri umani, gettando la pelle vecchia in attesa che la nuova ricresca più bella e luminosa di quella precedente. Naturalmente le mie sono considerazioni di massima e riguardano un aspetto generale, ma in fondo piuttosto comune, ma come ho scritto altre volte, le pene, le sofferenze non andrebbero celate al mondo che ruota veloce e che sembra voler divorare il proprio asse. Il dolore non dovrebbe provocare una sensazione di vergogna, si dovrebbero considerare normali quelle fitte allo stomaco che nascono all’improvviso mentre si scorge una vecchia foto in un cassetto, si dovrebbero accogliere con gioia quelle scosse sotto pelle mentre un ricordo irrompe nel sonno lasciandosi dietro un senso di profondo smarrimento.

Pensate se non fossero esistite le pene d’amore quanta poesia e quanti romanzi non sarebbero mai stati scritti, se non fosse esistito il desiderio che nasce in uno sguardo immerso in un bicchiere fatto di istanti quanta ispirazione sarebbe mancata ai pittori ed agli artisti. Quanta musica non avrebbe accompagnato la vita degli esseri umani, andando oltre il tempo fugace di un attimo. Attenzione non c’è qui la esaltazione della sofferenza d’amore, ma la presa d’atto che anche quando finisce un sentimento si deve avere il coraggio di compiere un viaggio dentro se stessi e dentro gli altri, ed avere un approccio reale a quello che accade nel mondo interiore, non cedendo alle imposizioni di una vita non vita, che impone di spoetizzare qualunque cosa, che condanna alla superficialità delle sensazioni, perché io continuo a pensare che è dalla imperfezione del tocco che possano nascere le vere sinfonie. E poi su un tappeto di stelle si potrà andare nel mondo con maggiore umanità e consapevolezza, in fondo la vita amici miei è fatta di piccole attese. L’imperfezione, la fragilità, la paura è la vera bellezza.

“Con ogni addio impari.
E impari che l’amore non è appoggiarsi a qualcuno
e la compagnia non è sicurezza.
E inizi a imparare che i baci non sono contratti
e i doni non sono promesse.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.