Ezio Vendrame, l’ultimo poeta

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di Christian Sanna

Figlio del dio Ermes e della ninfa Penelope, dall’aspetto di un satiro mezzo uomo e mezzo caprone, seguendo la narrazione di Ovidio, il dio Pan si innamorò della bellissima ninfa Siringa, seguace di Diana. Un giorno, incontrandola al ritorno dalla caccia, la inseguì nella palude, alla sponda del fiume Ladone, ma quando questa si vide raggiunta invocò le Naiadi che la trasformarono in canne palustri. Pan, perdutamente infatuato, trovandosi davanti ad un fascio di canne, non riuscendo ad indentificare in quale si fosse tramutata la ninfa, ne prese alcune tagliandone sette o nove pezzi in forma decrescente e li unì uno accanto a l’altro.

Quando il vento soffiò attraverso queste canne ne uscì un suono melodioso e struggente. Così nascque il flauto di Pan; da una mancanza, un desiderio inespresso, un sogno infranto. Col suo suono nostalgico e disperato, di un’ amante accompagna il passo che s’allontana dal centro della nostra vita per raggiungere in fretta una periferia in noi dove si vanno a parcheggiare e a vivere di rendita i ricordi. La poesia che fa vibrare l’anima e causa il rapimento emotivo nasce dall’impossibilità di poter essere felici qui ed ora.

E’ come affacciarsi alla finestra di casa e vedere due aceri a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, stanno lì da decenni, magari vorrebbero abbracciarsi, ma non possono farlo.  In cattività si forma la poesia e diventa con gli anni una forma di dipendenza contro lo spartito monocorde della massa, del noi professori noi artisti noi operai noi politici noi impiegati noi studenti noi collezionisti noi di sinistra noi di destra e bla bla bla. Le mia poesia più bella è rimasta inespressa, perchè è stata un’idea sfumata al risveglio, e quando ha capito che mi interessava solo metterla sulla carta per mostrare a tutti quanto fosse straordinaria lei e quanto fossi geniale io, si è fatta dimenticare. Si può dire che l’ho persa nell’aurora.

La poesia perfetta risiede nell’imperfezione, è elogio alla dignità di una sconfitta dopo aver lottato da leoni, si nutre di disperazione, inadeguatezza, rifiuto di accettare che al gioco che dovrebbe appartenere a tutti, bisogna stare alle regole di pochi. C’è stata troppa poesia nella vita in fuorigioco di Ezio Vendrame, così tanta che senza fatica l’ha generosamente dispensata ad altri, come faceva in campo quando era in giornata e deliziava il pubblico allo stadio con un gol impensabile per chiunque altro, un assist visionario, una giocata fantascentifica o un gesto alquanto singolare, ma di certo fra i più eleganti che si siano mai visti sul terreno di gioco: soffiarsi il naso con la bandierina del calcio d’angolo.

Icona di anticonformismo, capelli lunghi e barba, simile a George Best nell’aspetto, nella tecnica sopraffina e nella passione per le belle donne, Ezio era unico. Come quando una volta dribblò tutti i suoi compagni di squadra compreso il portiere e davanti alla porta fece finta di calciare o in quelle partite, quando ostaggio della noia, per liberarsene saliva con entrambi i piedi sul pallone e guardava tutti d’alto. Amico dell’indimenticabile poeta e cantautore Piero Ciampi, durante una partita col Padova, lo riconobbe sugli spalti e fermò il gioco per salutarlo motivando in un’intervista che “Il gioco del calcio diventa una cosa volgarissima di fronte ad un poeta come Piero”.

L’amicizia del calciatore friulano con il livornese Ciampi rappresentò per il George Best italiano una irripetibile occasione per fuggire via dal plasticoso mondo del calcio, conservatore e bigotto e soddisfare quell’atavica esigenza di esprimere pensieri emozioni e filosofie sul senso della vita, l’importanza dei sentimenti. La poesia intesa non più come anestetico contro la sofferenza e l’imbarazzo di stare al mondo, ma come emorragia di dolore. Non più cerotto, medicazione ma ferita aperta in perenne sanguinamento. Non importa in quali squadre abbia militato Vendrame nè tutto ciò che poteva vincere e non ha vinto, forse perchè non lo ha voluto, davvero non gli interessava niente. Del resto non ci si poteva aspettare diversamente da uno che all’orgasmo di un gol preferiva assist, dribbling e colpi di tacco, ritenendoli più eccitanti e che diede appuntamento ad un noto giornalista per un’intervista nel cimitero di Casarsa davanti alla tomba di Pasolini.

Cresciuto a sei anni in un orfanotrofio, Ezio mostrò da subito notevole sensibilità ed insofferenza verso tutto ciò era costruito sull’apparenza e più che i soldi e la popolarità gli interessava, attraverso il gioco del calcio, divertirsi e divertire la gente che andava allo stadio a vedere la partita e quando ne aveva voglia il suo calcio era un inno alla bellezza, un prodotto ideato per la gente e finalizzato alla gioia degli spettatori. Fu un artista del pallone e non propriamente un atleta, non solo perchè gli piaceva bere e fumare (disperazione di ogni allenatore) ma anche a causa di uno sconfinato amore per le donne. Adorava uscire tutte le sere, fare l’amore la notte prima di una partita; Vendrame, è stato un fuoriclasse per una nicchia dal palato finissimo, per chi lo ha visto giocare dal vivo nelle sue giornate migliori in cui per aggirare la noia decideva di inventarsi qualcosa che altri non osavano nemmeno immaginare.

Fu genio del calcio, senza mai diventare un campionissimo, consapevole che per avere successo avrebbe dovuto soffocare se stesso, la sua anima randagia vogliosa di libertà. Ha dribblato avversari e compagni di squadra, allenato i giovani, suonato la chitarra, composto canzoni, scritto poesie meravigliose, pubblicato libri, dispensato pensieri filosofici sulla vita. Ha vissuto come forse desiderava, inseguendo una coerenza esistenziale che da un genio tutto sregolatezza non ti aspetti. Invece, si è impegnato ad essere un uomo libero e a pensare con propria testa – Se mi mandi in tribuna, godoUn farabutto esistere, Calci al vento sono solo alcuni dei suoi titoli letterari, non sono libri ma goielli di sentimento. Frasi, poesie, racconti e riflessioni che non rappresentano cerotti per le ferite.

Perchè una ferita deve sanguinare, come una poesia deve immaginarsi malattia e cura, vita e morte, estasi e struggimento.  Ezio Vendrame riuscì dribblare tutti tranne se stesso, riusciva a segnare direttamente dal calcio d’angolo, quando si annoiava saliva a piedi uniti sul pallone per guardare il mondo da un’altra prospettiva, beveva e fumava, usciva tutte le sere, amava le donne, suonava la chitarra, leggeva libri poi si metteva a scrivere versi come questo Quanto pesa il dolore / sulle piccole spalle di un’anima.

Standing Ovation.

Provo a descrivermi in una frase, ma è un pò come rinchiudere il mare in un bicchiere. Allora potrei definirmi "Un solitudinista visionario animale sociale ed un cercatore di spiritualità, tutto occhi ed inquietudine, perdutamente innamorato dell'Idea che non è ancora riuscito ad afferrare, col cuore di cristallo. Fregato dai sentimenti". Ritengo superfluo aggiungere i titoli di studio conseguiti, i lavori svolti, gli eventi culturali organizzati e presentati, gli impegni nella politica e nel sociale. E se a qualcuno sta balenando in mente l'idea ( sbagliata) che io possa essere un insopportabile presuntuoso, sappia che è appena caduto nella rete che ho preparato. Io voglio che a parlare per me siano gli articoli; i lettori più attenti ci troveranno frammenti d'anima.