The Duke of Brixton

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Marianne s’era confusa tra la gente che s’accalcava, pressava, spingeva. Lei, incurante dei colpi che stava ricevendo, si mise a fissare il gigantesco murale di David Bowie, ricoperto di fiori e messaggi dopo la sua scomparsa prematura. Il faccione iconico di David Bowie disegnato sul muro aveva un effetto ipnotico. Una saetta rossa e blu gli attraversava il viso, sospeso tra uno sguardo in parte inespressivo e in parte sofferente. Intorno, s’era radunata una folla silenziosa che rendeva omaggio al Duca Bianco con fiori, foto e preghiere sussurrate. Marianne era lì, sembrava partecipare commossa a quella specie di rito pagano ma, in realtà, era tormentata dai suoi demoni. La paura si stava impadronendo di lei, la paura di conoscere la verità e non riuscire ad accettarla.  Stava piangendo, anche se in maniera garbata, discreta, invisibile. Il corpo era scosso da piccoli fremiti. Era sempre molto bella ma l’ansia se la stava divorando. Sembrava esser di colpo invecchiata di una decina d’anni.

All’improvviso, sentì una musica provenire da lontano che coprì tutti i rumori di fondo. Le persone erano di colpo scomparse e grossi fiocchi di neve stavano cadendo dal cielo. A Brixton non c’era più nessuno per strada, tranne lei e Bowie. Uno di fronte all’altra. David le si avvicinò solo dopo che si fu leggermente calmata. Quando vide che si stava asciugando le lacrime con un fazzoletto. La prese sotto braccio come se fosse un suo amico di vecchia data o un potenziale amante, e la sostenne fino all’ingresso della metropolitana di Brixton dove s’era assiepata tutta la gente in cerca di un riparo dal freddo.

La musica aumentò di intensità e volume. Proveniva dai binari. Marianne aveva perso contatto con Bowie. Un faro bianco la guidava giù, lungo le scale mobili poco illuminate, verso la banchina. Lui era lì ad aspettarla con una chitarra in spalla. Ora i suoni erano chiari, nitidi, puliti. Lui era vestito di bianco. Aveva un capello in testa e le sorrideva, facendo scintillare la dentatura. Intorno, non c’era più nessuno. I treni sferragliavano in lontananza, su altri binari, verso altre stazioni che avevano inghiottito tutte quelle persone scalpitanti che prima erano là fuori ad accalcarsi. Poi, arrivò un vagone vuoto, in apparenza senza conducente. David fece un salto all’interno e, senza perdere l’equilibrio, le allungò la mano. Marianne ci pensò giusto un attimo prima di aggrapparsi con tutte le sue forze alle dita protese. Le porte si richiusero di colpo e la carrozza ripartì immediatamente. Marianne non conosceva nemmeno la direzione di quella specie di treno metropolitano. David, intanto, poggiò la schiena a una porta e iniziò a suonare la sua chitarra fosforescente. Marianne gli si sedette di fronte e chiuse gli occhi. Il viaggio era appena cominciato. La musica invase la carrozza, le gallerie e le stazioni in cui il vagone proseguiva dritto, senza fermarsi e senza rallentare.

I, I will be king 
And you, you will be queen…“.

Gianluca Spera, classe 1978. Di professione avvocato da cui trae infinita ispirazione. Scrittore per vocazione e istinto di conservazione. I suoi racconti “Nella tana del topo” e “L’ultima notte dell’anno” sono stati premiati nell’ambito del concorso “Arianna Ziccardi”. Il racconto “Nel ventre del potere” è stato pubblicato all’interno dell’antologia noir “Rosso perfetto-nero perfetto” (edita da Ippiter Edizioni). Autore del romanzo "Delitto di una notte di mezza estate" (Ad est dell'equatore)" Napoletano per affinità, elezione e adozione. Crede che le parole siano l’ultimo baluardo a difesa della libertà e dei diritti. «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare», insegnava Sciascia. E’ giunta l’ora di recuperare linguaggio e ingegno. Prima di cadere nel fondo del pozzo dove non c’è più la verità ma solo la definitiva sottomissione alla tirannia della frivolezza.