Enzo Savastano e l’arte dell’ironia partenopea in musica

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di Mario Aiello

Quando una spiccata ironia incontra una attenta ma non esasperata satira, a Napoli e dintorni, il risultato è quasi sempre qualcosa di pertinente alla somma arte della musica. Ai giorni nostri, forse, dovremmo utilizzare il più appropriato termine “comunicazione”, ma sono un romantico e dei tecnicismi me ne sbatto altamente. Certo, restando sobri, proprio come ci insegna la tradizione partenopea.

Dal dopoguerra ad oggi grandi artisti si sono dedicati o prestati alla causa ironico-satirica, diversa da quella del semplice umorismo. Un intento assai nobile, la cui unica discriminante è data dai suoi interpreti. Il passo tra capolavoro e ciofeca è molto, molto breve. Non a caso annoveriamo, tra i tanti: Totò con Miss… mia cara Miss, ad esempio; oppure l’infinito repertorio di Renato Carosone, uno su tutti Tu Vuo’ Fa l’Americano; fino ai giorni nostri con Vittorio Marsiglia, esclusivista della farsa in musica (Canto Malinconico, La Prima Volta); Tony Tammaro, il più leggero e scanzonato (Il Parco Dell’Amore, Anni ‘60); in ultimo, ma non per ultimo, Federico Salvatore che è forse il più raffinato “accostatore” di poetica, metrica e turpiloquio, categoria quest’ultima dominata invece dagli Squallor. Pochi nomi col solo fine di fornire modelli che siano noti ai più. Ma non è questo il momento di digressioni storiche, né antiche, né moderne. Ragioniamo di contemporaneità vintage, chiamiamola così. Parliamo di Enzo Savastano.

L’occasione nasce in visione della prossima uscita al cinema, prevista per Giovedì 23 Settembre, della commedia Benvenuti In Casa Esposito, tratta dall’omonimo romanzo di Pino Imperatore e diretta da Gianluca Ansanelli, con Giovanni Esposito, Antonia Truppo, Antonio Orefice, Elisabetta Pedrazzi e Francesco Di Leva. Come mai? Perché Enzo Savastano ha scritto il singolo che anticipa – e in qualche modo è manifesto – della rappresentazione cinematografica. Titolo: E Latitanza Sia.

Enzo Savastano, all’anagrafe Antonio De Luca, oggi, è molto conosciuto sia in ambito locale che nazionale. Mentre gli autoctoni campani lo hanno scoperto sulle note di Mannaggia’a Marozzi e Campomarino, il restante popolo italico ha dovuto attendere almeno un lustro per trovarlo, prima in qualche rassegna minore e poi come ospite al dopo festival (di Sanremo) ad inizio anni venti del ventunesimo secolo.

L’occhiale da sole con l’improbabile montatura rosa e la gorgheggiante inflessione canora delle consonantiche “ve ve ve” o “ga ga ga”, sono i primi segnali di riconoscimento per l’iconico “Maestro”, come amano definirlo molti fan dandogli del lei. Ma il vero lavoro artistico risiede sotto il velo dell’apparenza. Tra testi, interpretazioni e una vera e propria regia di sceneggiatura (a cura di Valerio Vestoso), lo pseudo neomelodico che fa il verso ai neomelodici veri (restituendogli comunque un enorme ritorno di concretezza e, oserei dire, bellezza), è riuscito comunque a cucire su se stesso l’immagine vintage e concreta di un tipico mestierante di matrimoni, cerimonie e feste di piazza.

Millanta conoscenze trasversali che lambiscono le alte sfere della Curia, fino a raggiungere colletti bianchi della politica dei palazzi e nomi altisonanti del panorama musicale mondiale. Inoltre: citazioni, premi canori, partecipazioni a rassegne e festival dai nomi fantasiosi ma verosimilmente praticabili. Senza dimenticare le numerosissime e dettagliate apparizioni sull’onnipresente testata giornalistica Eco di Acerra. Sempre sul pezzo quando si tratta di riportare le dichiarazioni dell’artista.

Cos’è il genio? E, a parte un paio di menzioni, non abbiamo ancora toccato il tema più concreto, quello delle sue canzoni. La parola d’ordine è “ironia”. Pregevole anche l’imitazione di Calcutta nel brano Una Canzone Indie. Il modo non offensivo di sottolineare alcuni tratti antropologici che delineano parecchi individui contemporanei, hanno permesso ad Enzo Savastano di non subire forte accanimento, anzi, ha potuto godere di un discreto e affezionato seguito. Anche tra gli artisti presi un po’ in giro. Non mancano apparizioni proprio con Calcutta, oppure Brunori Sas.

Negli ultimi anni la sua produzione ha avuto una forte influenza di costume. Un ampio respiro tra fenomeni social o televisivi, politica politicante, attualità, temi sociali, senza dimenticare le usanze più vicine alle radici del cantante. Nascono così: Pomeriggi Che Sanno di Barbara, Anni 90, Amico Zampognaro, Un’altra Quarantena Insieme a Te. Per passione ed apprezzamento, non posso non citare Reggae Neomelodico e Senza Sentenza. Giungiamo dunque all’ultima hit, in termini di tempo, E Latitanza Sia

E Latitanza Sia riprende i crismi stereotipati della tematica, tanto cara a una buona fetta della schiera di neomelodici famosi e attivi a cavallo tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta. Non mancano indicazioni nel testo e la classica esclamazione “ ‘o figlio mio”, sentenziata in modo straziante e teatrale della anziana madre di turno, sempre in pena per le vicissitudini della propria prole scapestrata. Sono queste un sunto classicheggiante di sopraffina sintesi di chi sa osservare le apparenze e non solo. Ma soprattutto l’introduzione di sfumature ultramoderne quali “le notti senza wi-fi” o la necessità di scendere la tonalità della canzone a “meno uno”, in pieno stile karaoke che qualcuno di noi ha potuto sicuramente constatare di persona, ospite di cerimonie un po’ “particolari”. Il resto è arte popolare di note e allusioni. Per fortuna è anche molto orecchiabile. Se fossi in voi la ascolterei e magari poi tutti al cinema e vedere la commedia. Che di questi tempi è cosa buona e giusta.

 

P.S.
La testata Eco di Acerra, ovviamente e purtroppo, non esiste.

Mi chiamo Mario Aiello e sono un giornalista pubblicista. "Musicante" e "scribacchino" per passione, perennemente soggiogato dal richamo dell'arte in senso lato. Da diversi anni scrivo articoli di approfondimento nel campo degli spettacoli, della musica e della cultura più in generale. L'altra faccia della medaglia è invece dedita all'analisi politica, oltre che alla cronaca di attualità e costume. Insomma, un pastrocchio.