Il gregge e i Pastori

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di Maria Rusolo

“Qualunque decisione tu abbia preso per il tuo futuro, sei autorizzato, e direi incoraggiato, a sottoporla ad un continuo esame, pronto a cambiarla, se non risponde più ai tuoi desideri.”

Abbiamo la possibilità di immaginare e costruire un futuro, nel quale realizzare pienamente noi stessi con le nostre difficoltà ed i nostri obiettivi? Non si tratta di capire se ci sia la volontà di farlo, se abbia ancora senso farlo, ma quanto piuttosto se abbiamo la capacità di scegliere ancora a prescindere da quello che scorgiamo all’orizzonte. Ci è stato insegnato che il destino non è scritto e che in ogni modo possiamo con i nostri comportamenti provocare addirittura lo spostamento dell’asse terrestre. Se così non fosse stato, nessun avrebbe mai osato valicare le colonne d’Ercole, nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di rischiare la vita per toccare quasi le stelle nello spazio, o di indossare ali di cera per arrivare vicino al sole.

Tutto cambia se vogliamo che cambi, questo è stato il motto di una generazione, perso tra le pagine di storia e superato dagli eventi e dalla necessità di delegare ad altri la nostra responsabilità di uomini e di donne. Sia ben chiaro nessuno nega il senso della democrazia rappresentativa, ma quando ci si disinteressa al posto che occuperemo nel mondo ed agiamo con un senso di inutile astenia gli eventi superano le attese e si diviene schiavi di una oligarchia, nella quale il potere non è più il frutto di un trasferimento di funzioni, ma assegnazione definitiva ed esercizio nelle mani di pochi che possono accaparrarsi i posti.

Ci sono delle considerazioni che riguardano il modo in cui ci relazioniamo agli altri ed alla comunità, pensiamo di poter esprimere una opinione senza avere delle basi strutturate per farlo, normalmente non alziamo il capo dinanzi a nessuna sopraffazione o sopruso, perché a chi ha avuto tutto su un piatto d’argento non conviene o si nasconde dietro la necessità di non polemizzare, di non scuotere il sistema. A scuola facevamo il minimo indispensabile, senza brillare, nascosti tra le fila, e così abbiamo continuato la nostra esistenza sino alla età adulta, perché è più comodo, perché credere in qualcosa non significa battersi il petto alla messa della domenica, ma significa agire, imparare, avere il coraggio di rischiare. Pecore tra le pecore, che seguono il cane che indica la strada per non cadere nel burrone, a cui basta l’erba per sopravvivere ed un riparo al caldo la notte. Viviamo così senza muoverci più di tanto immersi in un mondo che non esiste più e che è già al capolinea, che richiede un rinnovamento radicale e senza tentennamenti.

Facciamo file inutili senza fiatare, accettiamo che le nostre competenze siano schiacciate in cambio di una cambiale da spendere all’occorrenza. La sicurezza delle proprie capacità viene mortificata e stigmatizzata, non riconosciamo chi è meglio o ne sa di più, ne siamo infastiditi, perché chi ha la piena consapevolezza di se stesso, delle proprie risorse e della propria cultura è quasi sempre un essere umano libero e questo per noi non è tollerabile, ci pone infatti dinanzi alla nostra codardia, alla nostra capacità di essere parte integrante dei processi. Ci piacciono i ” capi carismatici”, lontani da noi, quelli che oggi definiamo leader, così siamo tranquilli, non dobbiamo assumerci responsabilità, possiamo vivere di luce riflessa e di qualche foto di rito. Una volta le unicità venivano esaltate da chi guidava i processi, anche nel percorso scolastico, non ci si doveva vergognare, oggi il popolo guarda con sospetto quello che sceglie anche da pecora, una strada diversa, siamo un fastidio, un problema. La calma quiete delle acque del fiume, niente burrasche, niente tentennamenti.

Non comprendiamo però che questo atteggiamento ha svilito il concetto della democrazia, l’ha trasformata in un potere di pochi per pochi, e noi ci siamo seduti in attesa che passi. Siamo alla finestra, delatori occasionali o quello che è peggio muti testimoni dello scempio e della guerra dei forti contro i deboli, ci nascondiamo dentro case perfette, ignorando le vite drammatiche di chi aspetta un riconoscimento, una cura, una carezza. Siamo diventati cattivi ed egoisti. Ci chiamano ogni tanto per recarci a votare e pensiamo in questo modo di aver lavato le nostre coscienze, di aver trovato la pace auspicata. Mi chiedo e chiedo a voi che sarebbe stata la storia se qualcuno non avesse abbandonato il gregge, schierandosi contro il Pastore di turno, forse in fondo lo sappiamo bene, ma è sepolto nel fondo delle nostre coscienze sopite, nel fondo di quella ragione addormentata, che teniamo a bada riempendoci di pillole e di frenesia in una sera d’estate, o nella apparenza di un mero ed istantaneo appagamento fisico.

Eppure il riscatto passa attraverso gli umili, i vinti, i miserabili, quelli che sono schiacciati dal bisogno, quelli che come Renzo nei Promessi Sposi, decidono che un ideale, possa essere motivazione per non stare a guardare, perché poi arriva la Peste e tutto travolge, travolge gli sgherri ed i prepotenti, perché muta e cieca. Allora vale la pena di alzarsi e di vivere anche se questo significa perdere un posto in prima fila ed una esistenza tranquilla. La storia è nostra, la scriviamo noi, non lasciamo a chi verrà solo pagine bianche.

„Fra coloro che amano la libertà per convinzione e coloro che amano la libertà a parole vi è una divergenza sostanziale: i primi sono convinti che la libertà rimedia ai mali che può produrre, perché al tempo stesso eccita energie nuove, spinge alla formazione di libere associazioni, sviluppa contrasti politici e sociali dai quali derivano i necessari assestamenti; gli altri, invece, hanno paura della libertà e cercano sempre il modo di imbrigliarla con una continua e crescente legislazione e con un’azione politica vincolatrice, che finiscono per soffocarla.“

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.