Il rogo virtuale

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“Se la conoscenza può creare dei problemi, non è tramite l’ignoranza che possiamo risolverli.” 

Quello che è accaduto nell’ultimo fine settimana ha dell’incredibile, neanche nei miei incubi più terribili avrei potuto immaginare di dover tornare indietro su questioni che mi sono apparse sempre come l’espressione più tangibile dell’essere umano, dell’essere donna, di quella capacità di autodeterminazione che appartiene alla sfera del diritto naturale.

Di dover vivere situazioni contro le quali le generazioni precedenti si sono battute in maniera terribile e forte, a costo di scontri in famiglia e nell’ambiente sociale in cui vivevano. Mia madre mi raccontava spesso di come dessimo per scontati i diritti delle donne, e di come per loro nate negli anni ’50 fosse stato difficilissimo battere il muro della ipocrisia che le circondava. Mi raccontava di come si ricorresse alla interruzione di gravidanza in maniera occulta, e di come molte donne perdessero la vita e di come le stesse fossero costrette a subire lo strapotere di mariti e padri, senza avere alcuna arma di difesa.

Di quanto dura fosse stata la battaglia per l’approvazione della legge sul Divorzio, e di come non ci potessimo fermare, perché nessuna legge risolve, se non cambia la cultura di una comunità, e che non fosse tutto acquisito, ma che seppure eravamo in una condizione di vantaggio, molto restava ancora da farsi e costruirsi. Aveva ragione ed ho cominciato a sentire, quanto pesante fosse la nostra condizione crescendo, nell’ambiente di lavoro, nel mio impegno politico, di quanto le donne fossero considerate ancora con diffidenza, di quanto le donne avessero ancora difficoltà a sottrarsi in presenza di violenza, di soprusi, di quanto fossero ancora “oggetto” e non soggetto.

Sentir dire che il ruolo della donna è ancora visto solo nella logica della sua maternità, nel suo essere capace di portare avanti la specie, mi ricorda gli slogan di ogni dittatura esistita sino ad oggi. Si parte sempre da quello per poi procedere verso i roghi, su cui bruciavano le donne che avevano una reazione contro un sistema e non si lasciavano soggiogare. Oggi viviamo in una sorta di rogo virtuale, ma non dobbiamo neanche un istante pensare che sia meno pericoloso, al contrario la diffusione di questo tipo di visione è ancora più capillare, più rapida, più strisciante, si insinua nelle pieghe della società e non lascia scampo, destinata a toglierci il fiato. La volontà è quella di chiuderci in una Casa di Bambole, ma la responsabilità non è solo di chi promuove una cultura oscurantista, ma di chi non accende prepotentemente le luci, nelle urne, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nella famiglia.

Di chi pensa con una scrollata di spalle che in fondo è solo un momento e che prima o poi passerà. Non lo è, al contrario la fase è già molto avanzata, siamo in pericolo, e come spesso ho scritto in questi mesi non è più possibile fare finta di nulla, o indignarsi restando seduti. Equilibrio di genere, o parità di genere, sono espressioni vuote, scritte in qualche legge, che non hanno mai trovato una reale attuazione nella comunità, il numero di donne morte per mano di un uomo è un segno in questa direzione, come la quasi ormai impossibilità di ricorrere alla interruzione di gravidanza in strutture pubbliche a causa degli obiettori di coscienza.

Non è un problema di smantellamento della famiglia naturale, che non so bene cosa sia, forse quella in cui nonostante le botte ed i tradimenti, si rimaneva prigioniere perchè prive di lavoro e di ogni possibilità di fuga; il problema è la mancanza di sostegno agli uomini ed alle donne che possono scegliere di costruire un nucleo familiare aperto e accogliente, solo se hanno gli strumenti culturali ed economici. E quindi finiamola! I mostri non siamo noi, le arriviste non siamo noi, le ” assassine” come ci ha definito qualcuno non siamo noi, ma tutti quelli che non consegnano speranza, ma solo terrore, paura ed odio.

Ed io a tutto questo non ci sto! Fino al mio ultimo respiro lotterò perché tutti, indipendentemente dal genere abbiano la piena libertà di scegliere in che mondo voler vivere.
“Ci sono due cose che non possono essere attaccate frontalmente: l’ignoranza e la ristrettezza mentale. Le si può soltanto scuotere con il semplice sviluppo delle qualitàopposte. Non tollerano la discussione.” 

 

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.