Ius propagandae ovvero quando la cittadinanza non è un diritto ma un premio

Condividi su

di Ornella Esposito

 

Adam e Rami hanno ottenuto la cittadinanza italiana. Matteo Salvini, Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, ha dichiarato di essersi convito da solo a concedere il premio. Perché di un premio si tratta. 

Appena ho letto la notizia ho pensato subito a Daniele, il figlio di Giulia, la mia amica Ucraina, nato a Napoli, dove vive felicemente la sua vita insieme agli amici di scuola e a quelli con cui va a fare baldorie (per la disperazione della madre), che si rifiuta addirittura di comprendere l’ucraino, figurarsi parlarlo, ed è molto incazzato (la pronuncia di questo termine con l’inflessione similrussa, lo fa sembrare ancora più incazzato) perché non è italiano e non ne capisce il motivo. Sicuramente è napoletano, da come lo sento di esprimersi quando si rivolge a Giulia. Ho pensato che magari Daniele si augurerebbe di poter essere anche lui un giorno protagonista di un atto eroico, così potrà ottenere la sua tanto desiderata cittadinanza italiana, perché lui è italianoRagiona, pensa, sente, si comporta secondo i paradigmi della “nostra” cultura.  

Ma la cittadinanza non è un premio da elargire per un atto di coraggio, peraltro corale e non circoscritto solo ai due ragazzini extracomunitari (quest’ultimo termine, bollato dalla Carta di Roma, lo uso in senso provocatorio). Deve essere l’affermazione di un diritto. Sacrosanto. E non è vero, come ritiene una certa area politica, che questo diritto è già sancito. Perché non è la stessa cosa acquisire la cittadinanza grazie al fatto di avere uno dei due genitori italiani, o al compimento della maggiore età se si è vissuti stabilmente nel Belpaese (e anche qui il termine è provocatorio) rispetto ad ottenerla di diritto perché si è nati in un certo paese. È questione, oltreché di diritto, di sentimento di appartenenza. Sì, proprio quello a causa del quale, se manca, si possono verificare i tanti temuti disordini sociali. Naturalmente non ne è l’unica causa.

Da oggi Adam e Rami sono uguali ai loro coetanei. Ma, paradossalmente, questo riconoscimento (propagandistico) li confina ancor di più nel recinto di una bieca discriminazione, in quanto non li riconosce soggetti di un diritto ma oggetti di un’azione buonista, la premiazione, che tocca le corde dell’emotività, quella degli ignoranti. Dunque, la cittadinanza di Adam e Rami esalta la loro diversità. Ma poi diversi da chi? E perché diversi?

Ed ecco che i due ignari ragazzini sono stati “immolati” sull’altare del consenso propagandistico, diventando trofei da esibire ad un Paese magnanimo che non ha mai approvato la legge sullo ius soli.

Ma in questa vicenda farsesca, non deve sfuggire un altro elemento di riflessione che bene ha messo in evidenza Bernardo Severgnini[1] in un post su facebook che mi piace riportare integralmente:

È evidente che nella vicenda di Crema è stata data molta più attenzione a Rami e Adam e molta meno ad altri ragazzi che hanno avuto ruoli altrettanto coraggiosi, soprattutto Nicolò, che si è addirittura offerto come ostaggio. Questo è un po’ offensivo verso i ragazzi con cognomi italiani e va a soffiare sul fuoco della retorica assurda, falsa e pericolosa di chi sostiene che gli immigrati siano privilegiati rispetto agli italiani.
Certo, Rami e Adam non hanno la cittadinanza italiana e quindi hanno un deficit rispetto ai
compagni, ma la cittadinanza non ce l’avevano nemmeno prima e francamente non è questo il momento di pretenderla”.

Ecco, questo premio soffia sul fuoco della retorica di chi sostiene che i migranti siano privilegiati rispetto agli italiani. Sì, proprio quegli immigrati che vendono i fazzolettini ai semafori rossi, quelli che si spezzano la schiena nei campi per pochi euro al giorno, in barba alla legge sul caporalato. Sempre loro, quelli che si prendono cura degli anziani e dei disabili di cui i parenti non si vogliono o possono fare carico, quelli che vivono o sono vissuti ammassati nelle case di pronta accoglienza, gestite da gente immorale oltreché criminale. Certo, qualcuno potrebbe dire che ci sono anche immigrati che gestiscono il business della tratta delle schiave del sesso e del traffico internazionale di droga. Ma questo è un altro argomento.

Io voglio ritornare alle parole di Bernardo che nel suo condivisibile post, continua dicendo:

Non è questo il contesto in cui riaprire il dibattito sullo Ius soli e sulla cittadinanza in genere, legandolo ad episodi di cronaca, ad atti di terrorismo e ad atti di coraggio. Il dibattito sulla cittadinanza deve essere fatto a bocce ferme, per non correre il pericolo di essere contaminato dalla propaganda che è sempre in agguato.
Io personalmente mi sono rotto della propaganda della destra e anche di quella della sinistra. Andava bene dire che “i ragazzi sono stati una squadra, hanno dimostrato nei fatti che in caso di pericolo non conta la nazionalità o il colore della pelle, ma bisogna giocare di squadra per superare i problemi”. Poteva bastare questa metafora per dare un segnale di solidarietà con gli immigrati, invece ci si è spinti molto oltre, utilizzando i ragazzi come simboli per attaccarsi sul piano demagogico. Lasciamoli stare adesso, può bastare così. Lasciamoli riprendere dalla brutta esperienza che hanno vissuto e facciamoli tornare alla normalità. E lasciamoli crescere in pace
”.

Ecco, bastava dire che i ragazzi sono stati una squadra, hanno dimostrato nei fatti che in caso di pericolo non conta la nazionalità o il colore della pelle, ma bisogna giocare di squadra per superare i problemi.

Sarebbe stato un bel messaggio da dare ai loro coetanei da parte del mondo dei grandi. Da parte del mondo della politica, di destra e di sinistra, a cui (come dargli torto?) sono totalmente disaffezionati.

Bastava questo. Invece Adam e Rami sono tornati utili, loro malgrado, alla causa della propaganda.

[1] Non conosco personalmente Bernardo Severgnini. Il suo post è stato condiviso da un’amicizia in comune, così l’ho potuto leggere condividendone interamente il contenuto.

Il "Domenicale News" fondato e diretto da Pasquale D'Anna nel 2011, nasce dall'idea e dai bisogni di un gruppo di persone che attraverso il giornale e l'Associazione culturale Kasauri, editrice dello stesso, concretizzano la voglia e l'aspirazione di un desiderio di informazione libera, indipendente e generalista. Resta immutata la volontà di rivolgerci ad un pubblico che dalle idee è incuriosito perchè "Il Domenicale" è soprattutto frutto di una idea.