La musica tra vecchie e nuove generazioni. Cosa ha cambiato l’era del digitale.

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Nel mondo del web 2.0 ci siamo ritrovati di colpo di fronte ad una rivoluzione musicale che passivamente ci ha coinvolto cambiando completamente il nostro modo di concepire la musica.

Cosa è successo in questi anni? Spesso quello che succede attraverso il web ci colpisce in pieno e ne subiamo l’evoluzione, perché è difficile seguirne gli step per quanto sia veloce il cambiamento.

Questa evoluzione ha coinvolto anche la musica che nell’era digital si ritrova a fare i conti con nuovi mezzi di fruizione, nuove modalità di ascolto che non fanno altro che creare nuovi tipi di ascoltatori di musica e nuovi tipi di estimatori e critici.

L’idea classica di musica era legata a vinili, videocassette, poi CD e con l’avvento dei lettori mp3 e la rivoluzione degli Ipod la nuova idea di musica era concentrata su i download.

Se quindi fino a qualche anno fa il download era la nuova frontiera della musica (Napster iniziò la sua rivoluzione digitale 15 anni fa) ora l’ascolto di brani è lasciato ancora di più ai meandri dell’etere con l’avvento dello streaming.

timthumb.phpLa musica viene ascoltata attraverso internet senza acquistare e possedere nulla. Molti si chiedono quali siano i risvolti positivi di questo cambiamento. Come ogni progresso che si rispetti porta sempre dietro di sé le resistenze di chi crede che si stava bene quando si stava peggio, che non si possono definire più consumatori di buona musica quelli che l’ascoltano in questo modo se consideriamo il suono, l’hi fi e tutte le altre storie che possiamo sentirci raccontare, sebbene anche da questo punto di vista il miglioramento dell’audio degli smartphone, auricolari e cuffie stia mettendo quasi a tacere anche quest’ultime contrarietà.Guardare da un altro punto di vista questo cambiamento avrà sicuramente il suo lato positivo.

Basta fare semplici nomi per smascherare i nuovi juke box dal contenuto infinito o quasi.

Spotify, Deezer, Beats Music, You Tube. Si può avere la musica in ogni momento a portata di orecchi.

Si sente spesso parlare di atomizzazione della musica, come se questa rivoluzione che l’ha inondata altro non avesse fatto che disorientarne i fruitori, indefinire dal punto di vista dei generi il consumatore che prima decideva di costruire il proprio percorso musicale senza essere catapultato tra classifiche e cataloghi più disparati. Forse ancora una volta stiamo sottovalutando la capacità di un soggetto di potersi formare ecletticamente anche su questo fronte. Che male c’è a voler avere una visione più completa del mondo della musica. Parliamo tanto di etichette e di generi ma quanto puri sono stati finora i generi cui siamo stati abituati? Ci troviamo nell’era dei ‘generi trasversali’ dove assistiamo ai featuring più disparati, dove la musica cerca di eliminare vari paletti.

Un nome a caso. Pensiamo all’ultimo album di Jovanotti, come lo definireste?

Ogni brano è a sé, ogni brano ha una sua storia musicale e un suo sound. Ha praticamente mandato a quel paese l’idea che un album dovesse per forza di cose raccontare una storia uniforme o meglio raccontarla ma seguendo una linea musicale coerente. Invece lo si può fare anche viaggiando in maniera trasversale su varie lunghezze d’onda. E non stiamo parlando di un ragazzino, ma di un cinquantenne che forse si è adeguato alle rivoluzioni e ai cambiamenti in atto.

O ancora la diatriba musica rap e musica rock. Siamo sempre stati abituati all’idea che il rock puro fosse quello della ribellione, della voglia di cambiare le cose, di far sentire il cambiamento. Eppure l’album che oggi risponde ai canoni più rock è di stampo rap (pensiamo all’album Suicidol di Nitro).

Questo cambio generazionale che coinvolge la musica va naturalmente di pari passo con il nostro. Può sembrare che il gap generazionale possa aumentare con cambiamenti di questo tipo dove generazioni più adulte vengono da formazioni musicali totalmente differenti dalle nostre. Eppure questa rivoluzione della musica liquida, come ora viene chiamata forse tanta distanza l’ha accorciata.

Se pensiamo che artisti vicini alla soglia dei settanta anni che hanno avuto i loro tempi di gloria quando noi ventenni non eravamo nemmeno in programma oggi non ci sono più e noi ne piangiamo la scomparsa.

indexDomenica 10 gennaio è morto David Bowie, probabilmente l’artista che ha chiuso musicalmente il novecento rivoluzionandosi e rivoluzionando continuamente la musica. Probabilmente l’artista che più ha cercato di trovare le sue dimensioni con continue sperimentazioni. Il cambiamento per lui era il motore della vita, quello che spinge a migliorarsi e mettersi in discussione.

Cosa ha permesso questa rivoluzione del digitale? Ha permesso ai giovani di poter rivivere i tempi di artisti che iniziarono la loro carriera negli anni 60-70, tempi lontani da noi eppure così alla portata di tutti. Non li abbiamo vissuti in prima persona forse, ma abbiamo avuto la possibilità di conoscerli per poi seguirli per il resto della loro carriera. Questo è quel dettaglio che spiega il motivo per cui quando scompare un artista di grande calibro anche i giovani ne piangono la scomparsa. Forse perché ci rendiamo conto che un altro pezzo di quella musica che fornisce le coordinate per produrne altra migliore è andato via.

E potremmo parlare ancora di Fabrizio de Andrè ( di cui ieri ricorreva l’anniversario della morte), di Pino Daniele che ha accompagnato diverse generazioni e di tanti altri che seppur lontani anagraficamente dai nostri anni hanno fornito la dimostrazione che la musica può essere compresa ad ogni età o generazioni, perché ha un dono quello di essere senza tempo e dopo varie rivoluzioni… anche senza spazio.

 

 

Simona Barra nasce a San Giorgio a Cremano 22 anni fa. Ha studiato al liceo classico Garibaldi di Napoli e ora frequenta la facoltà di Giurisprudenza presso la Federico II. Appassionata di cinema, musica, libri e sport ha iniziato quest'anno la collaborazione con il Domenicale News.