Pensioni, tutti i dubbi di quota 100

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Il numero che da molti mesi ormai è diventato una vera ossessione per gli Italiani è 100, ma come spesso accade una cosa sono i calcoli con il pallottoliere, tanto cari al Governo targato Lega- Cinque stelle, altra cosa gli effetti che questi numeri possono avere nel breve e nel lungo periodo.

Immaginare di introdurre il quoziente 100 nell’accesso alla pensione avrà effetti di non poco conto. Boeri in tal senso è stato lucido e tagliente, spiegando come i costi non solo non siano sostenibili nel nostro sistema oggi, ma che gli effetti nel lungo periodo si ripercuoteranno sulle giovani generazioni, che già oggi hanno ben poche speranze di arrivare all’età pensionabile con un assegno dignitoso.

Il nodo della discussione è sempre lo stesso: lo slogan! Lo slogan conta più di qualsiasi altra cosa, perché rappresenta il mezzo attraverso cui costruire il consenso; un consenso senza pensiero e senza visione. Ma vediamo che cosa accade se passa  la quota 100. I costi potrebbero oscillare tra i 5 ed 15 miliardi di euro l’anno, se pensate che incrementare i fondi per il reddito di inclusione, raggiungendo l’80 % dei poveri  costerebbe solo 6 miliardi di euro l’anno, forse potete avere la corretta percezione di cosa significa fare politica, e piegare le logiche economiche e finanziare a quelle che sono le campagne elettorali perenni.  

Secondo l’allegato tecnico alla Relazione Annuale presentata dall’ Inps, il numero di pensioni da erogare potrebbero aumentare di circa 1. 700.000 unità l’anno. Gli scenari possibili al momento sono diversi. Per cui potremmo avere    il ripristino dei 41 anni di contribuzione per la pensione di anzianità e quota 100 con 64 anni di età minima e con una soglia dei contributi di 35 anni. In questo caso, le conseguenze porterebbero nel 2019 ad avere un costo di 11,6 miliardi di euro per un totale di 596 mila pensioni in più a fine anno. I costi aumenterebbero sino   ad arrivare a 18,3 miliardi nel 2028. Secondo una ulteriore ipotesi sarebbe da preferire uno sbarramento a 65 anni, cosa questa non tanto congeniale per il buon Salvini, e che determinerebbe una spesa immediata di 10,3 miliardi di euro sino ad arrivare a 16,5 miliardi. Costi altissimi anche in termini di PIL, parliamo circa di sei punti, mica pizza e fichi.

Insomma un aumento notevole anche in termini di debito pubblico ed una potenziale perdita del potere d’acquisto per gli assegni futuri, se si abbassa l’età pensionabile, che fa evidentemente calare il numero di contributi versati e che determina anche una crescita della spesa di tipo assistenziale. Ma ciò che molti tecnici, economisti e giuslavoristi, la sottoscritta compresa, rifiutano, è l’idea che un pensionato in più libera un posto di lavoro e mezzo per i giovani, come dai social si spertica ad affermare il buon vice- presidente del Consiglio. Non c’è assolutamente una diretta correlazione tra il numero di pensionati in più e la crescita dei livelli occupazionali.

Dire che si liberano 450.000 posti di lavoro è una cosa non solo falsa, ma ai limiti della truffa nei confronti delle giovani generazioni che pagheranno tutto quello che sta accadendo in questi mesi nel nostro Paese ed in Europa. Conti in ordine, non significa essere in qualche maniera al servizio della Comunità Europea o della Austerity, significa avere la possibilità di riprendere ad investire in formazione ed innovazione, e di dare segnali di stabilità all’estero attirando nuove presenze nel nostro Territorio. Rispetto alla quota 100, poi va detto che siamo di fronte ad un criterio esogeno in rapporto dal resto del sistema, e che ad esempio mi chiedo se terrà conto delle aspettative di vita, in che maniera saranno poi salvaguardate l’Ape volontaria e l’Ape sociale.

Insomma tutto un grande pasticcio. Il dato di cui non parla nessuno è che una economia cresce, se l’ occupazione tende a stabilizzarsi, e che il nostro Paese dovrebbe far crescere nei prossimi anni il lavoro in misura pari o superiore ai 10 punti, anche per chi ha superato i 50 anni di età. Il problema è da sempre la precarietà non la flessibilità. Bisogna immaginare il futuro in maniera complessa e non stucchevole, non si tratta di vivere le questioni separate tra di loro, ma come parti integranti di un sistema organico che riparte dall’economia dei fatti, spingendo i giovani laureati a restare in Italia, ripartendo anche dal Mezzogiorno, che rallenta la crescita del Paese e che misteriosamente scomparso dalle agende politiche di tutte le forze.

Oggi bisogna avere il coraggio di dire cose vere, con l’autorevolezza necessaria e la competenza giusta, anche se si rischia di essere impopolari. A noi interessa una Comunità sana e consapevole, non dei cittadini resi burattini dalle mani di qualche populista.

Il "Domenicale News" fondato e diretto da Pasquale D'Anna nel 2011, nasce dall'idea e dai bisogni di un gruppo di persone che attraverso il giornale e l'Associazione culturale Kasauri, editrice dello stesso, concretizzano la voglia e l'aspirazione di un desiderio di informazione libera, indipendente e generalista. Resta immutata la volontà di rivolgerci ad un pubblico che dalle idee è incuriosito perchè "Il Domenicale" è soprattutto frutto di una idea.