Sanremo, mettiamo i puntini sulle “i” con un poco di “storia patria”

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di Pasquale Di Fenzo

Sanremo lo hanno inventato i napoletani. Quella del 1951 vinta da Nilla Pizzi con “Grazie dei Fiori” ed a cui parteciparono solo tre interpreti che presentarono venti canzoni, non fu la prima volta per Sanremo. Già venti anni prima, era il 24 dicembre 1931, quello stesso Casinò Municipale aveva ospitato il “Festival Partenopeo di canti, tradizioni e costumi Napoletani”, cui parteciparono numerosi artisti, non solo napoletani.

Naturalmente inutile dire che i napoletani lo chiamarono “Festivàl”, alla francese. E tra i tanti artisti che presentarono ben 23 canzoni in gara vi era proprio la francese Milly, oltre a Vittorio Parisi, interprete lirico famoso anche in America (nonché futuro insegnante di canto di Sergio Bruni), e il leggendario Nicola Maldacea, re indiscusso della macchietta.

Si racconta che quest’ultimo fosse talmente ossessionato dal gioco che in quella occasione in poche ore perse alla roulette tutto quello che aveva guadagnato con la sua partecipazione. L’idea di adibire il Casino Municipale di Sanremo a sede per una manifestazione canora venne al poeta Ernesto Murolo, altro figlio illegittimo di Eduardo Scarpetta (come i fratelli Eduardo, Peppino e Titina De Filippo), e papà del grande Roberto. Il Maestro Murolo ideò quel Festival con l’obiettivo di rilanciare la canzone classica napoletana.

La manifestazione durò addirittura più di quanto non duri oggi, ben sette giorni. L’orchestra fu diretta dal maestro Ernesto Tagliaferri col quale Ernesto Murolo scriverà, in una lunga e proficua collaborazione artistica, canzoni classiche memorabili come “Mandulinata a Napule”, “Piscatore ‘e Pusilleco”, “Nun me scetà”, e “Napule ca se ne va”. Quest’ultima canzone, per certi versi profetica, chiuderà la serata finale del festival svoltasi a capodanno del 1932 . Bisognerà poi aspettare fino al 1951 perché a Sanremo tornassero le canzoni e nascesse dunque il Festival della canzone italiana cosi come lo conosciamo ancora oggi.

Ma la scintilla era scoccata venti anni prima. Quella stessa scintilla che poi l’anno seguente, nel 1952, vide nascere anche il primo “Festival della canzone Napoletana” che si tenne a Napoli, e che per circa venti anni riuscì a tenere testa per popolarità ed importanza a quello che nel frattempo era diventato il Festival di Sanremo come lo conosciamo oggi. Ma poi quel fuoco si spense ad opera degli stessi napoletani, che sanno essere nemici di se stessi come nessun altro. Ma la musica napoletana è stata sempre considerata dai grandi musicisti la “vera musica”.

Gli esempi non mancano né in tempi recenti né in quelli antichi. Da Lucio Dalla, che avrebbe voluto iniettarsi endovene di napoletanità, al grande Giacomo Puccini, che nel 1893, quando ascoltò per la prima volta “ ‘O marenariello” di Salvatore Gambardella, escamò: “Scambierei il quarto quadro della mia “Bohème” pur di poter comporre una melodia come quella del Marenariello”

Pasquale Di Fenzo, PDF per gli amici, tifoso di Napoli prima che del Napoli. Non lesina critiche a Napoli e al Napoli, ma va “in freva” se qualcuno critica Napoli e il Napoli. Pensa di scrivere, ma il più delle volte sbarèa. L’obiettività è la sua dote migliore. Se il Napoli perde è colpa dell’arbitro. O della sfortuna. Sempre. Se vince lo ha meritato. Ha fatto sua una frase di Vujadin Boskov, apportando però una piccola aggiunta: “è rigore quando arbitro fischia, a favore del Napoli”. E’ ossessionato da Michu che, solo davanti alla porta del Bilbao passa la palla ad Hamsik invece di tirare in porta. Si sveglia di notte in un bagno di sudore gridando “Tira! Tira!”.