La Campania tra due pandemie: terra dei fuochi e covid-19

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di Maura Messina

C’è un dato di fatto che non si può nascondere: il lockdown serrato ha garantito per qualche giorno un respiro necessario all’ambiente. Eclatante è stato il caso del fiume Sarno che in tempi brevi, dalla sospensione delle attività umane, ha assunto un colore cristallino.

Sole 48 ore dopo l’inizio della fase due, il Sarno diventa talmente nero da sembrare una strada asfaltata di fresco. 

Questo è il manifesto dell’opportunità che abbiamo voluto perdere.

La natura ci ha mostrato che con un cambio di rotta delle nostre abitudini e con la limitazione delle attività umane, anche una realtà terribilmente inquinata, come il Sarno, può migliorare sensibilmente.

Gli ultimi dati resi pubblici dall’Arpac, relativi al periodo in lockdown dal 25 gennaio al 25 marzo, riportano una significativa riduzione delle concentrazioni di polveri sottili e ossidi di azoto (monossido e biossido di azoto, agenti inquinanti) presenti nell’aria. 

Ecco cosa accade quando le attività dannose per l’ambiente si fermano e cosa succede appena vengono riprese: la natura rinasce per poi sprofondare nuovamente.

Ovviamente non si sta dicendo che bisogna stoppare tutte le attività, non si auspica un ritorno all’età della pietra. Vorrei che riflettessimo sull’occasione persa per ripensare al nostro rapporto con l’ambiente.

Il blocco forzato delle attività doveva spronarci a pianificare una ripartenza diversa, che tenesse conto dell’ambiente. Si assiste invece ad una corsa al “ritorno al pre-covid”, ignorando totalmente i segnali che ci vengono dalla nostra Madre Terra.

In Campania il problema dell’inquinamento si avverte in maniera particolare a causa del fenomeno dei roghi tossici nati per smaltire illegalmente rifiuti.

All’arrivo del covid-19 ci siamo trovati quindi tra due pandemie, quella storica di terra dei fuochi e la nuova del coronavirus.

Durante il lockdown si è sperato che le limitazioni e i controlli servissero anche a tutelare, di riflesso, l’ambiente. Per quanto riguarda i roghi tossici così non è stato. Ci sono state numerose segnalazioni di incendi appiccati addirittura in pieno giorno, per citarne uno, quello del 29 marzo, nella zona di Giugliano nota come “Ponte Riccio”.

In un certo senso, sul piano emotivo, siamo abituati a vivere in stato d’emergenza. Abbiamo lo spirito del biocidio che aleggia su di noi, non sappiamo se e quando ci colpirà, ma sappiamo che può farlo in qualsiasi momento facendoci transitare dalla percentuale dei “sani” a quella dei “pazienti oncologici”.

Siamo consapevoli di cosa voglia dire vivere in un ambiente devastato dall’inquinamento e quale forte correlazione ci sia con la salute degli esseri umani.

Abbiamo sopportato e gestito diverse restrizioni negli ultimi mesi, limitazioni che hanno riguardato tutti, anche chi si muoveva per andare a far la spesa.

Infiniti controlli nelle strade per frenare il contagio da covid-19; giustissimo, mi compiaccio che siano stati organizzati in così poche ore, addirittura ho visto elicotteri in perlustrazione per vigilare sugli assembramenti ed allora una luce di speranza, disattesa eh, si era accesa: magari “grazie all’emergenza covid-19” si sarebbe salvata finalmente la Campania dai roghi tossici? 

E niente, non sono serviti questi controlli capillari, per intercettare seppur per sbaglio, uno dei tanti delinquenti che si sono mossi indisturbati per svolgere affari illeciti.

Ma in fondo, in terra dei fuochi, una certezza c’era, ovvero che “bloccando le associazioni in casa”, per le dovute restrizioni, si andava a perdere l’unico controllo che avviene nelle zone soggette ai roghi da sempre. 

Alcuni in questi giorni si sono lamentati perché le mascherine sono scomode… Mi è venuto da sorridere amaramente, qui in tanti per i roghi tossici si ammalano di tumore e sono costretti a portare la mascherina, la indossano senza clamori e senza lamentarsi dei mesi infiniti in cui la dovranno portare. Chi non ha esperienza con certe situazioni può continuare a prendersela con le mascherine perché intollerabili per il caldo. 

Qualcun altro poi si è lamentato perché si è sentito “rinchiuso in casa” per settimane. 

Chi vive in terra dei fuochi probabilmente non ha avvertito il dramma di restare chiuso in casa, perché su questo ha le spalle forti. Non ha cantato fuori ai balconi insieme a tutti gli italiani nei flash-mob che si sono svolti durante il lockdown: non poteva aprire le finestre perché i roghi non si sono fermati neppure per il covid-19.

Mi aspetto che, quando arriveranno i mesi più caldi, qualcuno si lamenterà perché non può andare al mare dove desiderava. Ricordatevi degli abitanti della terra dei fuochi, che devono tenere gli infissi chiusi perché d’estate i roghi abbondano, come se ci fosse la sagra.

Chi vive tutti i giorni il biocidio, richiede a gran voce che i reati ambientali vengano trattati alla stessa stregua dei reati mafiosi, puntando a pene esemplari. Ma soprattutto esige che l’identico pugno duro e impegno profuso per il covid-19, venga messo in campo per porre fine allo scempio ambientale in terra dei fuochi. All’arrivo del covid-19 in pochi giorni sono stati trovati fondi e soluzioni. Qui si muore nel silenzio istituzionale da decenni e occorre ancora battere i pugni sul tavolo per ribadire l’esistenza dei roghi tossici. Basti pensare che l’ultimo rogo è stato segnalato il 27 maggio 2020 ad Afragola, l’estate è appena alle porte.

  • Si ringrazia Mauro Pagnano per il contributo fotografico

Maura Messina, art-designer napoletana, classe 1985. Da sempre sensibile alle tematiche ambientali, in particolare al dramma della terra dei fuochi. Dal 2014 collabora con varie testate giornalistiche. Autrice del libro illustrato autobiografico “Diario di una kemionauta” e del romanzo distopico “4891 la speranza del viaggio”, editi da Homo Scrivens. Ha partecipato a numerose mostre d’arte come pittrice. Il suo motto è: per cambiare il mondo basta napoletanizzarlo.