La politica che genera fastidio e avversione

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di Maria Rusolo

“Il potere si legittima davvero e solo per il continuo contatto con la sua radice umana e si pone con un limite invalicabile: le forze sociali che contano per se stesse, il crescere dei centri di decisione, il pluralismo che esprime la molteplicità irriducibile delle libere forme della vita comunitaria”

Visto che anche il Presidente del Consiglio ama citare Moro, io scelgo una sua frase estrapolata da un suo discorso tenuto durante un Congresso della Democrazia Cristiana del 1969. La politica non ha più quel rapporto necessario e fondamentale con la sua radice umana, ha perso ogni valutazione e contatto con i bisogni delle persone, e non parla alla gente con l’intento di costruire una comunità, ma con lo scopo di alimentare il proprio piccolo potere e di spingere alla realizzazione di un interesse particolare, di un interesse spicciolo, elettorale, di circostanza.

Ed è in questa logica che parlare di corretta gestione della cosa pubblica, di amministrazione alta, di nuova classe dirigente diviene un fastidio per molti, che piuttosto che porsi al servizio rivendicano ancora, ed ancora ruoli pubblici. Non me ne voglia nessuno, e nessuno pensi che io sia affetta da giovanilismo o da smania di Rottamazione, anche perché visti gli esiti nefasti dei cosiddetti giovani ” anagraficamente” parlando sarei una sciocca o una sprovveduta, ed in linea di massima, penso di non essere nell’una nell’altra.

Mi chiedo come sia possibile solo nel nostro Paese, che la politica sia sempre un affare di famiglia, una questione per pochi eletti che si ripropongono sempre uguali sulle tavole del palcoscenico, di come mai altre nazioni abbiano avuto alla guida Quarantenni del calibro di Kennedy, di Obama, donne, professioniste e con curriculum di tutto rispetto e qui, siamo sempre al punto di partenza.

Non mi va di fare nomi e cognomi, ma credo che chiunque possa inserire nelle caselle, chi meglio creda, e senza dover fare alcuno sforzo di immaginazione. Le competenze non sono un affare di meriti acquisiti sul campo, per quanti sforzi si faccia, i risultati in politica arrivano o grazie ad un bacino di voti costruito sulla clientela di basso livello o su accordi ed accordicchi. E’ un po’ quello che accade con le nostre eccellenze in campo scientifico costrette ad imbarcarsi per poter aspirare al successo ed alla realizzazione, perché qui nelle università o nelle strutture pubbliche sarebbero precari e sfruttati a vita.

Come possiamo chiedere ai ragazzi di impegnarsi per il bene collettivo, come possiamo chiedere ai quarantenni di costruirsi percorsi professionali impeccabili e di prestare la propria opera se poi tutto finisce in una bolla di sapone, e si ripropongono alla guida delle città, delle regioni, nelle stanze dei bottoni sempre gli stessi, che peraltro non sempre hanno fatto bene, e che hanno nella propria storia anche responsabilità precise di questo stato di cose. Vorrei ricordare che Tony Blair si è ritirato dalla politica a poco più di cinquant’anni, cosa che qui non sarebbe neanche lontanamente immaginabile. Ed allora se si vogliono tirare in ballo nomi del calibro di Moro, lo si deve fare con la consapevolezza precisa di quanto ha affermato nel suo lungo percorso di professore universitario e di leader politico, di quanto la sua capacità di comprendere i comportamenti sociali, il vento di cambiamento che soffiava nel Paese gli sia costato in termini di vita e di sofferenze, non si può immaginare di leggere la storia a nostro uso e consumo è una questione di rispetto e di dignità.

Chi ha coperto incarichi istituzionali per lungo tempo, con luci ed ombre, si deve fare da parte, deve aiutare e coadiuvare una nuova generazione a costruire il Paese del Domani, deve insegnare l’arte della mediazione, che non è compromesso, e l’arte del possibile e dell’impossibile, deve spingere ed accompagnare, ma oggi è quanto mai necessario un nuovo orizzonte con nuovi attori e nuove conoscenze, che ci facciano uscire da una assurda palude stagnante di vittimismo e di ipocondria.

La storia la si scrive tutti i giorni con il sangue e la polvere e non può essere un diritto concesso da qualche Sovrano illuminato. La storia va afferrata anche quando la corda che la trattiene ci sembra troppo corta e sfilacciata e ci taglia le mani.

“Oggi noi iniziamo con serietà il lavoro di accertarci che il mondo che lasciamo ai nostri bambini sia migliore di quello che abitiamo oggi.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.