Le conseguenze della storia

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di Claude De Bray

Non sono passati che pochi giorni dalle proteste vive ed accese quanto piene di livido fervore dell’ANPI (Ass. Naz. Partigiani d’Italia) e della UCEI (Unione delle comunità ebraiche italiane) che hanno definito “sconcertante” paragonare “Il giorno della memoria” ovvero la Shoah con “il giorno del ricordo”, ovvero le migliaia di esuli italo-dalmati ed altrettante migliaia di persone finite nelle foibe il cui numero è ancora tutto da verificare, buttati come rifiuti, morti, vivi, giovani, donne, bambini, il cui destino era di morire nell’agonia oppure, per i più fortunati, morire falcidiati da mitragliate e granate.

È doveroso precisare che non ho alcun astio o preconcetto nei confronti di chi appartiene alle più svariate religioni, come mi è indifferente il colore della pelle o gli orientamenti sessuali.

Per meglio chiarire, fatto salvo rare eccezioni, non ho grande considerazione dell’umanità di questo tempo che definisco “inumanità”, accomunata da un virus che risale alla notte dei tempi; il “carognavirus”, del quale sono affetti ben oltre il cinquanta percento dei viventi su questa terra.

Siamo giunti quindi alla storia intesa come mercificazione, strumentalizzazione nel contesto politico socio economico tra devianza e narrazione mediatica sino alla mistificazione per giungere al falso al fine della convenienza o dell’aberrazione.

La storia deve essere tramandata scevra da pregiudizi evitandone la politicizzazione, evitando di bollarla in un contesto attualizzato per definire la storia giusta o sbagliata.

La storia è la verità, non è giusta o sbagliata, è semplicemente ciò che accadde in un determinato contesto storico; è la pagina di un infinito libro in cui trovare accadimenti al fine di ricordare che l’uomo ha compiuto imprese straordinarie come aberranti comportamenti risalendo sino alla narrazione di Caino e Abele.

La storia è l’infinita guerra tra il bene e il male di cui siamo stati artefici a cui non necessariamente dover dare una motivazione ma solo la consapevolezza che, ancora oggi, gli uomini mangiano altri uomini; siamo gli unici esseri su questo pianeta che uccidono i suoi stessi simili.

La storia racconta la cannibalizzazione di esseri umani con qualunque mezzo, che sia la schiavitù o il capitalismo, la coercizione o la tortura, la privazione o la strumentalizzazione.

La storia cambia per motivi d’interesse affinché, travisata, diventi arma per le nazioni, la politica o strumento di indottrinamento delle masse, indifferentemente se colte o ignoranti.

La storia è strumento dietro alla quale si continuano a perpetrare gli stessi errori, le stesse violenze, lo stesso identico cannibalismo.

La storia non assegna primati o conferisce medaglie, tantomeno assegna i guinness, la storia è il dettaglio degli accadimenti; lo storico è colui che non solo si limita ad elencare i fatti ma li accerta documentandoli, li contestualizza all’epoca degli accadimenti a far sì che si comprenda meglio il come ed il perché.

Esiste anche la “non storia”, ovvero quella che per convenienza non è stata scritta pur conoscendone gli eventi o semplicemente narrata a margine.

Intanto accontentiamoci dei libri di storia che dalle elementari alle superiori partono dagli uomini delle palafitte fine a giungere marginalmente ed a mala pena alla seconda guerra mondiale.

Purtroppo non leggerò le nefandezze di questo tempo in un libro di storia e spero non venga in mente a nessuno di paragonare la Shoah con Nakba che conta oltre sei milioni di palestinesi sparsi sull’intero pianeta e taluni resistono nei ghetti di Gaza tuttora vittime della diaspora e che ancora aspettano di tornare nelle proprie terre.

A mio avviso anche un solo essere umano vittima di discriminazione e ucciso per mano di un suo simile merita un giorno della memoria; abbiamo tutti le mani sporche di sangue e le guerre che siano per mezzo di truppe, con sanzioni, cibernetiche, discriminatorie non finiranno mai.

Siamo e resteremo Caini e continueremo a scegliere un Barabba qualsiasi e trovo veramente triste giungere ad affermare, quasi vantare, l’unicità di crimini subiti.

Questa umanità è giunta al paradosso e continuo ad avere ben poca considerazione di questo tempo e non abbiamo mai tratto insegnamenti dalla storia se non per perfezionare le atrocità.

Siamo in guerra da ben oltre duemila anni e potete scommetterci che la guerra è in atto sempre fosse solo per poter sopravvivere perché la vita è morta e sepolta da un pezzo.

 

Nato a Napoli non ho frequentato scuole degne di tale nome. Al compimento dei diciott’anni dopo il conseguimento del diploma sono subito stato assorbito dal lavoro soprattutto per motivi di sostentamento precludendomi la cosiddetta “Laura”. In compenso ho la laurea della strada, un master in sopravvivenza e vivo tutt’ora di espedienti. Amo leggere più che scrivere ed avendo raggiunto un’età che mi concede il lusso di dire ciò che penso non percorro strade che conducono al perbenismo bensì all’irriverenza. Non amo molto questo tempo e la conseguente umanità per cui sono definito un misantropo; ciò non toglie che la solitudine non precluda l’essere socievole e come tutti i solitari le persone le scelgo; il resto le guardo da lontano, senza avvicinarmi troppo. Se è vero che ogni mattina ognuno di noi fa una guerra per combattere il razzista, il moralista, il saccente che vive in noi, non ho alcun interesse nello scoprire che qualcuno questa guerra l’abbia persa e dunque la evito. Il resto sono cazzi miei e non ho intenzione di dirvi altro altrimenti, come Sanguineti, dovrei lasciarvi cinque parole che vi assicuro non vi piacerebbero.