L’ultima occasione

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di Maria Rusolo

“Le etichette politiche – come monarchico, comunistademocratico, populista, fascista, liberale, conservatore, e così via – non sono mai criteri fondamentali. La razza umana si divide politicamente in coloro che vogliono controllare la gente e in coloro che non hanno tale desiderio.”

Come si racconta una crisi di governo, non saprei dirlo e forse non ho molta voglia di farlo. Tutto è stato già detto dai vari commentatori televisivi, che spesso non sanno essere obiettivi, e vivono e raccontano un Paese con la lente di ingrandimento dei propri pregiudizi e delle proprie opinioni.

La Stampa dovrebbe essere altro e dovrebbe volare in alto rispetto alle scaramucce ed ai personalismi, dovrebbe spiegare quello che accade alla luce di quanto vissuto nel Passato più prossimo, ipotizzando immagini future. Dovrebbe essere denuncia ed analisi dei fatti, di quello che non va in un preciso momento storico spingendo la Classe Dirigente ad essere migliore di quello che appare.

Ahimè non è più così da tempo. L’analisi diventa pettegolezzo e ricerca dei posizionamenti, ma soprattutto non spinge gli Italiani ad essere migliori, a ragionare con il cervello e non con la Pancia. Il populismo ha un grande alleato nella opinione pubblica, nella divulgazione frettolosa e superficiale, mistificano spesso i giornalisti con lo scopo di essere attori protagonisti di quanto accade nella politica, e non osservatori obiettivi. Si potrebbe scrivere un trattato sul rapporto tra decadenza della classe politica in relazione a quello della Stampa.

Queste sono ore difficili per il Paese sul piatto della bilancia ci sono questioni importanti, la crisi economica non è dietro l’angolo è evidente, è qui tra noi e si sparge a macchia d’olio senza che nessuno si preoccupi di costruire argini culturali ed umani di contenimento. Si resta basiti dall’osservare l’atteggiamento dei riferimenti dei partiti che giocano la propria partita, preoccupati dal consenso presente e futuro, senza rendersi conto che la povertà è in un aumento, le scuole restano chiuse, le attività culturali ed economiche sono ormai sfiancate, la sanità un miraggio, i giovani persi ed alienati. Una partita di scacchi mal giocata, fondata sul posizionamento di questo o di quel nome non è concepibile ed è umanamente vergognosa, anche agli occhi del mondo che ci guarda. Occorre ristabilire l’ordine delle priorità, occorre individuare precisi punti di intervento che non possono più essere rinviati, occorre comprendere che noi siamo Europei, e che non ha più alcun senso vivere nell’ottica dello spiccio provincialismo che ci pone ultimi nel benessere che riusciamo a garantire alla nostra comunità .

La partita è seria, è una finale dei Mondiali ed in campo non mandi gente senza esperienza, qui si gioca il futuro delle nuove generazioni, qui si gioca il futuro della economia, la capacità di costruire un paese moderno che dia risposte valide e rapide ai cittadini che vedono lesi i propri diritti naturali. Non vi fate abbindolare prima della pandemia, la situazione era altrettanto grave ma celata da un velo di ipocrisia. Si tratta di giocarsi il tutto per tutto, mettendo in campo finalmente il meglio che abbiamo, perché esistono le risorse umane a disposizione, ma vengono relegate, perché non manipolabili. Giustizia, Salute, Istruzione, Occupazione Giovanile, Questione Meridionale, Crescita e sviluppo sostenibili, questi i temi su cui investire le enormi risorse che l’Europa mette a disposizione. Bisogna accogliere la sfida e lavorare duro, sono finiti i tempi della assistenza finalizzata alla costruzione del consenso elettorale. Abbiamo un’ultima occasione va sfruttata a capo chino e senza piagnistei.

“Il populismo è paradossale perché invoca una orizzontalità senza terzo, una democrazia diretta senza filtri, l’abbattimento di ogni forma di mediazione istituzionale per poi reggersi sull’arbitrio di un padrepadrone. Il compito del padre è trasmettere il desiderio da una generazione all’altra, è permettere l’eredità. La saggezza più grande è saper tramontare; è saper scegliere il tempo giusto per uscire di scena, sapere lasciare il posto, vivere la propria dissoluzione, sapere lasciare una ereditàtrasmettere una eredità.”

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.