Che il PD pensi a se stesso…

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di Andrea Carpentieri – foto GettyImages

Tra qualche mese l’Italia andrà al voto ed è assolutamente necessario che il Partito Democratico metta in campo tutte le azioni di cui potrà essere capace per evitare di incappare in un risultato negativo che, nella nostra prospettiva, sarebbe negativo per il Paese, oltre che per il PD. Lascio ad altri la quaestio delle alleanze, che pure è questione seria e condizionante: prima di pensare alle alleanze, però, bisogna che il PD pensi a se stesso, alle proprie prospettive, ai propri conti.

E sì, perché in politica i numeri non spiegano tutto, ma tutto orientano: se non si hanno i numeri dalla propria parte, infatti, non si vince; se non si vince, non si governa; se non si governa, non si possono trasformare in atti e fatti concreti le idee, neppure le più belle, alte, nobili.

Alle politiche del 2008, il Partito Democratico ottenne circa il 33% dei consensi, mentre nel 2013 portò a casa più del 25% (PDL, Lega e FDI, sommandone le rispettive percentuali, si attestavano al 26,61). Altri cinque anni dopo, nel 2018, il PD si ritrovava a fare i conti con un risultato che lo poneva sotto il 20% ed è a partire da questo dato che, io credo, bisogna sviluppare oggi una riflessione. Nell’arco di un decennio, il Partito Democratico ha lasciato ad altri, che si tratti di partiti o del buco nero dell’astensionismo, quasi 15 punti percentuali e nel 2018, non ci si faccia ingannare dalla parentesi di governo seguita al suicidio politico del Papetee, aveva perso le elezioni.

Nel quinquennio successivo, stando ai sondaggi più recenti, poco è stato recuperato di quel gap, il che vuol dire che forse il Partito dovrebbe cominciare a pensare in un’ottica nuova. Per farla breve, a parere di chi scrive si dovrebbe cominciare a ragionare sulla necessità di un ripensamento di nomi e volti da presentare agli elettori. Se, come usa dire, squadra che vince non si cambia, non è arrivato il tempo, per il Partito Democratico, di cambiare una squadra che ha, è sotto gli occhi di tutti, sonoramente perso?

Aver perso significa, a mio parere, aver subito un’emorragia di consensi, certo, ma anche non essere riusciti, sul tempo lungo di un decennio, a lasciare un segno profondo nella vita dei cittadini: gli italiani stanno fondamentalmente peggio di dieci anni fa, non credo sia intellettualmente onesto attribuire la responsabilità sempre e solo ad altri, alla crisi, alla grandine…

Da giorni si sente ripetere come un mantra il fatto che al PD prema parlare di temi prima e più che di persone, delle proposte per un’Italia diversa piuttosto che dei nomi dei candidati che verranno. Tutto condivisibile, ma a patto di non cadere in un grossolano errore di interpretazione o, peggio, nella tentazione di usare i temi come una foglia di fico per sviare la discussione relativa alle “facce” da proporre. I temi, in ultima analisi, li definiscono gli uomini, le idee e le proposte nascono nelle teste dei singoli e camminano sulle loro (dei singoli) gambe, sicché agli elettori dovranno essere presentati nomi credibili, spendibili, non quelli il cui unico scopo sia di perpetuare l’esistenza del ceto politico.

L’attuale classe dirigente nazionale e regionale dovrebbe svolgere un serio, approfondito esame di coscienza: dovrebbe guidare il processo che porterà alle elezioni, certo, ma anche evitare di ridurre il tutto a deroghe, collocamenti e/o ricollocamenti. Si ascoltino i territori, si ascoltino i circoli ma non solo per raccogliere istanze che poi i soliti privilegiati dovranno tentate di far valere. In un mondo ideale, il solo in cui il PD potrebbe avere qualche chance di recuperare il terreno ed i consensi perduti, i candidati dovrebbero rappresentare quel mix di novità e competenza che alla politica italiana manca da decenni. Senza disperdere il patrimonio rappresentato da quanti hanno, in questi anni, dato buona prova di sé, si punti su liste profondamente rinnovate, liste composte da candidati che realmente incarnino quelle idee, quei valori, quegli ideali di cui si parla quotidianamente ma che, se saranno candidati sempre i soliti noti, rischiano di restare lettera morta o, nella migliore delle ipotesi, pie illusioni.

Andrea Carpentieri è dottore di ricerca in filologia classica, ed ha al suo attivo diverse pubblicazioni nell'ambito degli studi di letteratura latina. Ex agonista nel karate, ha avuto la fortuna di vincere trofei e medaglie nazionali ed internazionali nella specialità del kumite (combattimento). Che si tratti di letteratura, lingue vive o morte o arti marziali, ogni giorno prova ad insegnare, cercando però, soprattutto, di continuare ad imparare.