Un video postato su Facebook ha colpito , in modo devastante, la sensibilità di chi vive la condizione di madre come un abito che non si toglie mai, sempre attaccato alla pelle, quasi come un destino. Un bambino di tre anni del Benin, profonda Africa, spacca le pietre ; non è un gioco, è il suo lavoro quotidiano, la madre percepisce qualche soldo vendendo l’infanzia del suo angioletto. D’emblai ho commentato questo post : “ Lo andrei a prendere e me lo porterei a casa”… Ancora oggi, a distanza di tre giorni, durante la giornata sento il bisogno di andare a guardare quel bambino, di tenere vivo il mio interesse sul suo caso, di non scivolare nell’indifferenza e nella ripetitività confortante dei miei riti quotidiani, infine di trasmettere e condividere la mia rabbia per un’indifferenza che noi tutti abbiamo nei confronti di queste immani tragedie. Basterebbe garantire a questi piccoli il diritto di vivere, di amare e di essere amati, regalare loro dei giorni vissuti normalmente : quando penso al bambino del Benin che a tre anni spacca le pietre mi viene in mente, con sofferenza, che per lui la “normalità” non esisterà mai. Svegliarsi la mattina e fare colazione, andare a scuola, tornare e trovare un pasto caldo, qualcuno che gli chieda come è andata la giornata, bere un’aranciata che fa tanto bene , la sera qualcuno che lo consoli e gli racconti una favola, un gesto d’amore. Molte donne hanno un’inclinazione dell’animo che le contraddistingue per l’enorme sentimento materno che si portano dentro; sono le persone che non riescono ad essere indifferenti nei confronti dell’infanzia abbandonata e deprivata. Il naturale corso di questo sentimento sfocia nell’esigenza di adottare o anche di ottenere in affido temporaneo un bambino a cui i genitori non sono in grado di offrire una vita normale ; in ciò sono sostenute, anche dai loro compagni, verso un sentiero d’amore che spesso diventa difficile da seguire e percorrere. Mi riferisco alle difficoltà che si incontrano per poter donare ad un bambino il sorriso e la spensieratezza; aspiranti genitori che devono passare nel tritacarne delle lunghe trafile burocratiche, nei meandri di una burocrazia lenta e fastidiosa, sempre sotto esame e lungamente giudicati da “ esperti” lautamente prezzolati, che devono decidere sull’affidabilità di persone pronte a donare amore. Spesso in queste pastoie ci si perde; ad un certo punto la vita rivoltata come un calzino viene percepita come una violenza e qualcuno arretra. A quel punto un bambino ha perso un’occasione per ricevere amore, un adulto generoso deve dirottare i suoi sentimenti su un altro soggetto/ oggetto su cui riversare il suo affetto. Questo non dovrebbe accadere, chiude la porte all’amore chi affronta queste questioni da mero burocrate…Anche chi ha già figli può offrire amore ; essere madre non significa essere proprietaria di un corpo che nasce da te, è qualcosa di molto più importante: donare amore a chi ne ha bisogno, in specie ad un bambino che non vive la sua infanzia, che morirà non conoscendo un attimo di normalità. Ricordo una splendida novella del Decamerone di Boccaccio in cui una mamma napoletana , Madama Benitola Caracciolo, per una serie di circostanze perde i suoi figli , che ritrova alla fine, nonché suo marito , tale Currado Gianfigliazzi. Per superare un dolore indicibile e per riversare il suo smisurato sentimento materno, questa donna adotta dei bambini che l’aiutano a superare un momento di disperazione. Boccaccio esalta le madri napoletane e fa di Benitola un esempio di altruismo e di generosità, ma esistono donne e uomini pronti a donare ai tanti bambini sfortunati del nostro pianeta affetto e sollievo. Ma la burocrazia si frappone , a volte, come un ostacolo insormontabile… Una parola molto in voga in questo periodo è “ sburocratizzare” ; incominciamo a lavorare in questo senso per ottenere più facilmente le adozioni.