di Elio Goka
Quando una casa di produzione propose a Eduardo De Filippo di realizzare un doppio adattamento (teatrale e cinematografico) de Il sindaco del rione Sanità, il drammaturgo rifiutò. Non condivideva le intenzioni dei produttori, diretti a modificare la struttura della drammaturgia per rendere il tema della criminalità organizzata l’elemento centrale della rappresentazione. Eduardo ha sempre tenuto a specificare la distanza morale di fondo tra il suo Sindaco e l’immaginario malavitoso.
La spiritualità di Antonio Barracano sfugge alle nomenclature canoniche della morale civile. La sua vita rappresenta un’esperienza dell’umano che comprende il singolo e la folla. L’individuo e la moltitudine si sovrappongono nella solitudine e nell’ingombro di un custode e predicatore di un’erranza che sosta presso le debolezze non per farle proprie, ma per liberarle. La predicazione di Barracano, però, avviene da ferma, al faro del carisma temuto e rispettato da chi corre a chiedergli udienza. La domanda rivolta a Barracano è il protocollo d’urgenza di una popolazione esposta ai rischi e alle tentazioni di uno sbandamento sistematico e calcolatore, quello a firma di un potere costituito in perenne malafede. Tuttavia, il sindaco del rione Sanità non agisce secondo le norme del mondo criminale. Assume, sia pur con un’originaria brutalità, un nuovo codice della contrattazione e del giudizio. Il suo verbo in principio è stato il sangue, a breve distanza e a contemplata reazione dentro un calvario di insostenibili inquietudini.
La giustizia di Antonio Barracano nasce dall’ingiustizia subita in giovane età, quando, da capraio, viene inspiegabilmente aggredito e picchiato selvaggiamente da Giacchino, il guardiano di una tenuta. L’episodio originale che instilla nel giovane Antonio la formula di un doppio diviso tra la saggezza e la violenza. Le due anime che il Sindaco si porta dentro specchiate dalla presenza narrata e mai comparsa dei suoi due cani. Munaciello e Malavita. Il primo è “giudizioso” e privo di violenza gratuita, il secondo, invece, è istintivo e spietato. L’oscillazione su cui si spostano gli stadi decisionali di don Antonio Barracano. A seconda degli interlocutori, dei soccorsi e dell’eterna variazione sopra l’accordo e l’inimicizia. I due cani che don Antonio salvaguardia, persino davanti all’aggressione subita dalla moglie da Malavita, nella loro indispensabile funzione difensiva, rappresentano il doppio spirituale che Antonio si porta dentro senza consentire accesso alcuno.
Il Sindaco, però, non ha nulla a che vedere con i concettualismi sulla legalità, sull’ordine o su ogni elemento interno a un qualche genere di nomenclatura del potere. In questi termini, di fatto, don Antonio si colloca fuori dal potere costituito. Né approva, né confligge. Non opera un intervento diretto a mutarlo, ma apre le porte (tenta di farlo) alla spinta in-conscio di quell’umanità ignara dei suoi limiti, del suo coraggio e della sua codardia. Non a caso è stato lo stesso Eduardo De Filippo, a suo tempo, a specificare la fonte di ispirazione del suo Sindaco. Tale Campoluongo, “uomo di rispetto”, come si soleva dire all’epoca, mobiliere e capofamiglia di un cognome che mai fu associato alla camorra, ma alle vicende che in quel periodo, legato a differenti segni culturali, venivano regolate con l’arte e l’ordine della parola saggia affiancata alla fermezza di sgombrare, anche con la violenza, gli effetti dell’affronto.
La storia di Antonio Barracano è quella di un uomo reduce da una giovinezza vissuta negli stenti e segnata per sempre da una violazione subita per ragioni ignote e inspiegabili da parte di Giacchino, il guardiano che aveva percosso brutalmente Barracano, pare, per semplici motivi di antipatia, dopo avergli intimato di non portare le sue capre all’interno della tenuta da lui sorvegliata. Il pestaggio subito da Giacchino è l’ingresso agli inferi di una lucida inquietudine che Antonio Barracano, trasfigurato anche fisiognomicamente nella descrizione che frequentemente il Sindaco porta di sé in scena, determina come bussola di orientamento per ovviare secondo un altro modello normativo, alternativo a quello del potere costituito, ai disagi sociali di persone che vivono anch’esse negli stenti e nelle incertezze di esistenze sulle quali gravano gli sfruttamenti morali e materiali di chi quella miseria sa come mettere a frutto. Giacchino non compare, ma è il richiamo maledetto e animale di quel momento che separa l’avanti Antonio docile e in disparte dal dopo “Tatonno” – come solo la moglie Armida può permettersi di chiamare – che a Barracano assegna il ruolo di ordinatore e dispensatore di una giustizia incodificabile. La prudentia del Sindaco è caratterizzata da un iūs ad hoc, ogni volta regolabile secondo valutazioni e giudizi adeguati alla fattispecie che si presenta al suo cospetto. La legge di Antonio Barracano derubrica la generalità e l’astrattezza per dedicarsi a una risoluzione al dettaglio dei casi e delle controversie.
Dal prima del Sindaco, di un Antonio ancora ignaro di quella che sarebbe stata la sua funzione dentro il meccanismo civile di una Napoli buia e in pena di sé, al momento della composizione del ruolo, fino alla sua stessa consumazione, il Sindaco del rione Sanità è una commedia tragica che si sviluppa secondo un grande romanzo di formazione di fondo, laddove il punto d’origine è affidato alla narrazione illustrativa di Barracano nelle scene in cui, ora per intimorire ora per confidarsi senza il rischio di far sì che quella confidenza sia utilizzabile come prova tribunalesca, racconta la sua esperienza. Il prosieguo, che poco a poco calamita e genera nuovi personaggi, va in scena per la rappresentazione dell’aspetto filosofico e morale del Sindaco e non soltanto rispetto alla sua esistenza, ma pure a quella di alcune figure che, in primis Rafiluccio Santaniello, rievocheranno con dolorosa e provante inquietudine il principio del verbo di Barracano. Rafiluccio, nell’astio che prova per suo padre Arturo, è la riproposizione del giovane Antonio, tormentato dalla violenza traumatica di Giacchino. Una riproposizione leggibile dall’Antonio ripiombato, stavolta da osservatore e giudice esterno, nell’incubo del Giacchino demone della tremenda liberazione a cui quell’esperienza ha condotto la condanna di terra e di sangue inflitta dal suo spietato epilogo.
Antonio Barracano, con la vendetta ai danni di Giacchino, ha dall’ultimo giorno della sua giovinezza iniziato se stesso a quella neutralizzazione della legge moralizzatrice che lui stesso, in piena coerenza di sé, rifiuterà anche quando ne sarà colpito. A farlo, Arturo Santaniello, il padre impaurito che, avendo perduto la stima del figlio Rafiluccio, nell’Antonio Barracano giudice scorge soltanto il suo lato violento e pericoloso. Per questo, altra reazione non avrà se non quella di sorprenderlo vigliaccamente e brutalmente.
Il compimento che Eduardo contempla nella sua commedia è, di fatto, una costante reincarnazione del suo protagonista e delle figure che hanno condotto il suo lungo e sofferente romanzo di formazione. Antonio Barracano si vedrà in Rafiluccio Santaniello, Rafiluccio vivrà l’esperienza col padre Arturo come Antonio ha vissuto quella con Giacchino e il Sindaco tornerà da Arturo senza sapere che in lui si annida la subdola codardia di Giacchino. Una chiusura circolare in cui il sangue e la terra dettano la formula antica di una tragedia in cui il coro è diviso tra privilegiati e umiliati, tra difesi e vulnerabili, in una giostra di corruzioni spirituali che, secondo il protagonista del copione di De Filippo, non escludono nemmeno l’ambiente familiare.
Eppure, il Sindaco supera la regolazione tribale della civiltà sottraendosi ai fuochi della nascita e della morte. Antonio Barracano, non a caso, non nasce e non muore in scena. La sua perduranza, fino all’epilogo mortale, è tutta in vita. Tanto la crescita anagrafica quanto l’annuncio della sua morte avvengono in assenza, per una contumacia del suo nome che lo consacra a figura norma, a volto quadro di un’idea e non a corpo di un culto della personalità. Questo aspetto conserva l’emblema potente e inimitabile di Barracano, ma non ne totalizza la figura, che lui stesso riconsegna, rispetto al valore filosofico, a Fabio Della Ragione (il cognome non è casuale, come spesso è verificabile nelle commedie di Eduardo), il medico amico che lo ha assistito per tanti anni.
Il dottore Della Ragione, assistente “prigioniero” del Sindaco, dapprima resiste alla filosofia di Barracano, tentando a più riprese di dissuaderlo dalla convinzione della sua missione di salvare gli abitanti del quartiere e chiunque gli chieda udienza, poi, in seguito al sacrificio personale che don Antonio sopporta per il bene di Rafiluccio, nonché per la sicurezza e la libertà della sua famiglia, riafferra con vigore virando, contro il parere testamentario lasciatogli dal Sindaco, in una direzione sincera e imprevedibile del tutto contro tutti che Antonio aveva voluto a ogni costo scongiurare.
Fabio Della Ragione, il personaggio specchio del Sindaco, subisce anch’egli la presa di coscienza che fu di Antonio molti anni prima. Con una variazione decisiva. Il dottore non ha fiducia nell’umanità che con tanta incuranza ha disprezzato e calpestato gli uomini come Antonio Barracano. Allora, Fabio Della Ragione, nel finale dell’opera di Eduardo, firma il luogo a procedere dell’armageddon in cui ognuno si assuma la responsabilità “In fede” delle azioni e dei comportamenti dettati da ciascuna coscienza. Non più l’aspirazione a un modello di civiltà umano e misericordioso, ma un caotico e inaffidabile conflitto di individualismi in cui l’unica legge in grado di sopravvivere a lungo resti quella del potere costituito e delle sue sottili e subdole macchinazioni. Antonio Barracano è l’erranza ostinata e contemplativa di un Diogene della modernità che niente ha a che fare con il fenomeno criminale, né con ogni altra forma di potere consolidato formalmente o ritualmente. Al contrario, quella di don Antonio è la presenza imponente e, al tempo stesso, discreta di un coraggioso vicariato alternativo rivolto alle emergenze di quell’ignoranza che miete vittime confinate al buio di una conoscenza che, se disponibile, farebbe dell’uomo l’uomo. Antonio Barracano è l’avamposto umanissimo, tra saggezza e violenza, di un luogo apparentemente interdetto, il cui accesso è possibile soltanto con un’illuminante e sacrificale condanna di sé. Ad ogni costo. “L’uomo è uomo”.